UNESCO e Centro Storico

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Quando, nel 1994, fu chiesto all’UNESCO di inserire il centro storico di Napoli nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità, ci si riferì all’area definita dal PRG approvato con D.M. del 31.3.1972, molto più estesa rispetto al cosiddetto “centro antico” dell’impianto greco-romano.

Dopo l’assenso dell’UNESCO nel dicembre 1995, la Variante al PRG del 2004 aggiunse la Reggia e il parco di Capodimonte, Castel Sant’Elmo con la Certosa di San Martino e la collina, la Villa Floridiana con il parco e la Villa Comunale.

L’urbanistica, per la prima volta a Napoli, provava a ragionare in termini di tutela. Risultando, tuttavia, inadeguata, con norme di complessa lettura. La tutela, d’altra parte, è stata sempre bandita dal centro storico partenopeo.

Una proposta di vincolo paesaggistico, avanzata dalla Soprintendenza nel dicembre 1960, era stata respinta dagli uffici centrali del Ministero nel luglio 1961 perché l’area non presentava caratteri naturalistici, che all’epoca erano richiesti per un tale provvedimento. Dal 2004 il vincolo paesaggistico sul centro storico sarebbe stato possibile ai sensi dell’articolo n. 136 del Codice dei beni culturali e paesaggistici, che considera come ‘paesaggio’ anche un insieme costruito. Fu richiesto da Italia Nostra quando era già sindaco De Magistris. Senza fortuna.

Perché il centro storico di Napoli ebbe il riconoscimento UNESCO?

In un'area così estesa, le cesure tra parti urbane contigue furono considerate fattori d’unicità. Nel continuum del costruito, dove più serrata si fa la trama del tessuto urbano, emergono improvvisi gli elementi di una passata grandiosità testimoni del ruolo storico di alcune classi del tempo, degli scambi commerciali, di una dinamica sociale e culturale che ha collocato per lunghi periodi Napoli tra le più importanti metropoli europee.

Se, dunque, le pietre testimoniano ruoli e comportamenti ormai lontani, è da questi ultimi che occorre partire per riguadagnare un credito oggi perduto. Di qui, il richiamo dell’editoriale al “morale” della città. Attraverso programmi, impegni e concertazioni istituzionali riferiti agli strumenti urbanistici e finanziari disponibili, occorre puntare ad obiettivi chiari e dimensionati alla scala dei problemi.

Intanto, non si può pensare al centro storico senza considerare i versanti orientale e occidentale della città. I problemi riguardano l’intera metropoli e le soluzioni devono essere trasversali, orientate su temi di interesse pubblicistico.

A titolo d’esempio, uno di questi potrebbe essere un piano generale degli spazi pubblici in cui strade e piazze siano inquadrate in un ‘abaco’ di valori dipendenti dalla collocazione urbana e dalla storia, dalle fabbriche ad esse afferenti, dalle possibilità di percorrenza. Un piano che definisca criteri gestionali e operativi, evitando provvedimenti surreali e isolati, quali la pedonalizzazione di via Partenope e, in prospettiva, di via Caracciolo, decisa nell’ignoranza della storia della città.