La città che non ama la modernità

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La nuova Amministrazione comunale sembra essere partita con il piede giusto, acquisendo importanti risultati a Roma, in particolare per il debito, ed affrontando con decisione i principali problemi da cui è afflitta la città.

Una città di cui l'immobilismo è stata la cifra più significativa. "Napoli non ha mai amato la modernità, anzi spesso la ha considerata una minaccia". Così ha scritto su Il Corriere del Mezzogiorno Enzo D'Errico, riprendendo un mantra evocato già spesso sulla stampa. Ripiegare sul suo passato è una cifra che ha acquisito agli albori della "modernità", quando il mondo ha cominciato a correre e la città si è invece rinchiusa su se stessa a difendere il suo passato, rifiutando troppo spesso il cambiamento, soffrendo così per l'assenza di progetti che la trasferissero nel fluire della storia contemporanea. Negli ultimi duecento anni solo il decisionismo dei Bonaparte, le urgenze del Risanamento ottocentesco e l'autorità dei Commissari fascisti hanno lasciato tracce significative nella città. Allora nacquero progetti, addirittura idee di città. Poi è subentrato il vuoto. Ci siamo anche fregiati di una vera e propria classe dirigente, ma essa in ultima analisi ha solo disfatto quanto di positivo si era fatto prima. Poi abbiamo perduto anche quella. Ed abbiamo rimediato gli ultimi posti nelle classifiche tra le città capoluogo del Paese.                                                                                      

A sua discolpa, Napoli pure ostenta progetti in corso. L'onnipresente tema della metropolitana e delle sue delle "Stazioni dell'arte" ci propina da decenni solo piazzali e grate. Nel cantiere di piazza Municipio pochi ricordano ormai le  aiuole fiorite e la fontana degli scugnizzi, per non parlare degli scavi che hanno rimesso in luce ruderi del cui significato storico si può sfidare il più accorsato dei futuri visitatori a misurare il valore.

Se posso citare un progetto virtuoso, mi viene in mente il Museo DaDoM (Darwin Dohrn Museum) da poco inaugurato, che oltre ad aver messo in luce lo straordinario lavoro di alcuni scienziati che trovarono casa a Napoli un secolo e mezzo fa, ha ridisegnato, con un corretto restauro, la Casina del Boschetto, opera poco nota di Luigi Cosenza.

C'è anche da citare il polo universitario di S. Giovanni a Teduccio. Con esso la Apple Academy della Federico II ha cominciato a trasformare il volto della periferia orientale della città. 

Ma la città sembra indifferente ai suoi progetti coraggiosi, ad architetture periferiche che solo pochi visitano. Ed abbandona al silenzio, all'impunità ed all'assenza di progetti le aree ex industriali di Bagnoli.

Come si può uscire dall'immobilità? E' necessaria una forte iniezione di coraggio nelle scelte per puntare decisamente sulla contaminazione tra passato e futuro. Occorre far nascere sinergie e inventare progetti che interpretino il desiderio di modernità di cui le nuove generazioni hanno il diritto.

E' questo il monito che possiamo affidare alla nuova dirigenza della città. Per favore create una nuova grande Start-up da affiancare alle sempre più numerose giovani iniziative che fioriscono intorno a voi.