Zone Economiche Speciali: Logistica + Industria + Intermodalità, sinergia per vincere le sfide del Mediterraneo

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SRM, monitora nei propri studi un indicatore della World Bank denominato LPI (Logistics Performance Index); per semplicità possiamo dire che esso dà il senso della competitività Logistico-portuale di un Paese poiché ne misura l’efficienza doganale, la tracciabilità delle merci, le infrastrutture, l’efficienza dei trasporti e della logistica.

Il LPI quindi sale verso l’alto se un sistema paese investe e crede nel concetto di competitività collegata ad una struttura forte di carattere logistico-portuale. E’ un indicatore importante anche perché fondato su una survey nei confronti di esperti di settore a livello internazionale elaborata con rigore scientifico.

Nel 2007 l’Italia era al 22° posto su 150 Paesi, dietro ai principali competitor portuali: Olanda, Germania, Francia, Belgio; nel 2018 era al 19°, sempre dietro i citati Paesi cui si è aggiunta la Spagna. Preoccupante come in 11 anni non siano stati fatti passi avanti da un Paese ritenuto una delle principali potenze industriali europee.

In questa sede non sarà possibile analizzare tutte le motivazioni di ciò ma due su tutte è opportuno sottolineare: gli scali Europei hanno effettuato più investimenti in infrastrutture ed in intermodalità e hanno lavorato per definire politiche rivolte ad attirare investimenti industriali nei retroporti; si pensi alla ZAL (Zona ad attività Logistica) di Barcellona ed ai sistemi intermodali dei porti del Northern Range che hanno incentivato le imprese ad usare scali muniti di grandi e veloci collegamenti verso l’entroterra.

Uno strumento per potenziare la nostra capacità di attrazione può essere quello delle ZES, studiate per le regioni del Mezzogiorno. La novità di questi strumenti è stata quella di porre il porto al centro di una politica di sviluppo; lo scalo deve di fatto coordinare la crescita del territorio sia in punto logistico che industriale.

La politica delle Free Zone ormai nel mondo è diventata strutturale; è uno strumento di cui non si può fare più a meno in uno scenario portuale così competitivo. Si pensi che l’ultimo World Investment Report dell’Unctad ha evidenziato l’esistenza di 5.383 Free Zone a livello mondiale. Non tutti sono casi di successo, ma è opportuno anche che il nostro Paese riesca a dotarsi di questi tools ed a farli funzionare.

Campania, Puglia e Calabria stanno andando abbastanza velocemente e hanno terminato gli iter di approvazione delle Zone ma non è solo questione di iter.

Vanno infatti definiti con chiarezza quali sono i veri fattori di attrazione del territorio c.d. Pacchetti Localizzativi; sia quelli di carattere burocratico, ancora in fase di definizione, salvo alcuni dettati del Decreto semplificazione, sia quelli finanziari caratterizzati dal Credito di Imposta recentemente decollato (ottimo ma mai abbastanza di fronte alle pluriennali esenzioni fiscali concesse da altri Paesi) e dagli incentivi che le Regioni potranno mettere in campo.

Intesa Sanpaolo ha organizzato, per promuovere le ZES ed i porti campani e pugliesi agli investitori, missioni in Italia ed all’estero (tra cui Dubai e Pechino) ed ha previsto un plafond di 1,5 mld. di euro per il loro sviluppo e per supportarne l’attrattività su investimenti nazionali ed esteri. Inoltre, nell’ambito dell’accordo sottoscritto da Intesa Sanpaolo con FEI (Fondo Europeo per gli Investimenti che fa capo alla BEI), 100 mln. sono stati destinati a investimenti nelle ZES sotto forma di finanziamenti a tassi agevolati destinati alle micro e alle PMI nelle regioni del Sud.

Occorre, in definitiva, ispessire il tessuto industriale alle spalle dei porti per indurre gli scali stessi a non andare a “caccia” di traffico ma a far provenire il traffico stesso da un sistema industriale solido ubicato nelle loro vicinanze. Vinciamo la sfida della ZES e ne potremo trarre solo benefici.