Antonio Juliano: un campione napoletano “atipico”

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L’immagine della città contemporanea è sempre più frutto della sua produzione di segni, immagini, di eventi ed anche dell’attrattività dei suoi protagonisti che spesso fungono da ambasciatori nel mondo dei diversi aspetti della complessità urbana. Anche nel caso del riconoscimento a Napoli della funzione di “Capitale Europea dello Sport 2026” un ruolo importante l’hanno svolto non solo i recenti risultati sportivi della squadra di calcio ma anche la storia di altre discipline molto spesso identificate in singoli atleti che hanno legato il loro nome alla città (da Patrizio Oliva a Massimiliano Rosolino, da  Alessandro  Sibilio ad Angela Carini, da Andrea Giani a Giuseppe Porzio e Carlo Pedersoli ( in arte cinematografica Bud Spenser) e forse soprattutto i calciatori da Attila Sallustro a Maradona passando per Fabio Cannavaro, Luis Vinicio e Ciro Ferrara. In questo pantheon della storia sportiva partenopea non dovrebbe mancare in una posizione di tutto rispetto Antonio Juliano, primo napoletano ad indossare la maglia della nazionale di calcio fino alla vittoria nel campionato europeo del 1968. L’avventura sportiva di Totonno, per gli amici e per la curva B dell’allora San Paolo morto alcuni giorni fa ad 80 anni, ha già trovato spazio sulla stampa sportiva locale e nazionale. Qui vogliamo segnalare la sua napoletanità definita spesso “atipica”, quella di un ragazzo nato nella periferia orientale della città con la determinazione di un veneto e la legittima aspirazione a prendere l’ascensore sociale attraverso la “pedata” l’unico cosa che a suo dire sapeva fare. Juliano fu un antesignano dei rider in quanto per allenarsi tutti i giorni si dedicava alla consegna a domicilio per conto della famiglia titolare di un piccolo esercizio commerciale. Dalla strada di San Giovanni a Teduccio  al Calcio Napoli la sua carriera fu breve ma il suo carattere riservato, un po' ombroso e tanto orgoglio lo ha accompagnato nella sua lunga carriera prima come calciatore e poi dirigente sportivo. Credeva fortemente nel valore formativo dello sport e nell’etica del lavoro. Preferiva lavorare nell’ombra (vedi l’operazione Maradona al Napoli) piuttosto che le luci della ribalta.

Il messaggio che ci lascia sta nel fatto che anche da una periferia in cui il rettangolo verde era rappresentato dalla piazza del quartiere e la palestra il dedalo di vicoli dai mille problemi si può battere quello che sembra un destino di tipo deterministico. Ma certo non basta sempre il sogno e l’energia dei tanti piccoli Juliano che ancora giocano per strada quanto l’impegno  di tutta intera la classe dirigente della nostra città metropolitana responsabile della pratica sportiva e delle relative infrastrutture. Ma questo è un altro discorso.

Gennaro Biondi (arbitro benemerito dell’AIA)