Giulierini: Un viale alberato e senza auto, il mio sogno possibile per via Foria. Il Mann? Può arrivare a un milione di visitatori. E avverte: Serve più decoro, ma guai a sacrificare l'identità.

Affacciato alla finestra del suo ufficio al terzo piano, Paolo Giulierini si gode lo spettacolo della fila che tracima fin sopra la scalinata di fronte alla Galleria Principe di Napoli. E da quella finestra scruta l'orizzonte con uno sguardo che alimenta progetti, visioni, speranze. Sogni, sì, ma ad occhi aperti.

Perché da quelle lunghe code per la mostra dedicata a Canova (fino ad oggi oltre 250mila visitatori, chiusura il 30 giugno) - il direttore del Mann ci scommette - può nascere la svolta anche per il "Museo". Che nella vulgata partenopea non è soltanto l'Archeologico, ma un crocevia tra il "su" e il "giù" della città. Uno snodo nevralgico, immerso in un caos perpetuo che introduce al centro antico.

Direttore, lei è nato a Cortona, in una Toscana che confina con l'Umbria, ma conosce Firenze almeno quanto Napoli. Si tratta di due centri storici importanti, anche se molto diversi tra loro. Quali sono le principali differenze sul piano della manutenzione, della conservazione?

«Firenze e Napoli sono storicamente legate al mondo dell'arte, del Grand Tour e del turismo. Firenze, come è noto, ha una connotazione fortemente legata al Rinascimento, mentre Napoli vive su una sommatoria di identità che vanno dal periodo greco fino a quello angioino e a quello borbonico. E c'è anche un problema di dimensionamento diverso: è evidente che Napoli è stata una capitale per la grandezza e lo sviluppo del centro urbano, che a Firenze è più raccolto».

In che condizioni si trova il centro storico di Napoli sul piano della conservazione e del decoro?

«A monte di ogni grande intervento devono esserci una pianificazione e una progettualità. Ecco, forse è il lato debole di Napoli. In una città come questa dev'esserci grande attenzione al decoro: piuttosto che concentrarsi sugli eventi, che spettano soprattutto agli istituti culturali, un'amministrazione dovrebbe a mio avviso individuare in questo tema un caposaldo».

Il Museo Nazionale è alle porte del centro antico di Napoli. Lei ha chiesto al Comune di decongestionare l'area intorno al Mann, assediata dalle auto. C'è un progetto in questo senso?

«Sì, abbiamo iniziato a lavorare con il Comune per intervenire su alcuni settori del centro storico, segnalando la necessità di un cambiamento che possa determinare un salto di qualità per l'area». 

Possiamo entrare nel dettaglio?

«Facendo parte del Cis, il grande progetto di ripartizione dei 90 milioni di euro per il centro urbano che sussume il precedente finanziamento dei fondi Unesco, abbiamo alla firma un contratto di quartiere per il recupero della Galleria Principe di Napoli. Il nostro contributo lo abbiamo portato grazie a due convenzioni, con le Facoltà di Architettura dell'Università Roma Tre e della Federico II, che stanno collaborando con l'Assessorato all'Urbanistica del Comune di Napoli. Per la prima volta un istituto culturale funge da stimolo per un ente territoriale, al quale si aggiunge anche la Regione, per guardare in un'ottica generale i rapporti del Museo con i grandi plessi che sorgono intorno. Dunque, prima abbiamo detto al Comune che era necessario intervenire, poi abbiamo creato il "problema" con le code di visitatori. In questa zona i flussi turistici sono diventati così imponenti che lo stato di abbandono risulta inaccettabile. Come risulta inaccettabile un traffico pericoloso per i visitatori e per i cittadini. In questo quadro, abbiamo pensato ad una progettazione graduale che preveda 10 milioni per l'intervento sulla Galleria e un'ipotesi di graduale attenuamento del traffico, fino al sogno dei sogni, che è quello della chiusura di piazza Cavour e di un collegamento concettuale con la Galleria e fisico con i giardini delle metropolitane. Con la pedonalizzazione di piazza Cavour, si creerebbe così un grande viale alberato che venendo da via Foria introdurrebbe al nostro Museo. E ancora, c'è il collegamento con il vicino Colosimo, un polmone verde da recuperare, attiguo al terzo giardino del Mann, che riapriremo a settembre. E infine una bellissima terrazza in via Pessina dalla quale si gode di una vista straordinaria su piazza Cavour».

Un disegno ambizioso. Intanto, del recupero della Galleria Principe di Napoli si fantastica da anni, invano.

«Adesso ci sono soldi e idee. Immaginiamo di collocare in quegli spazi le creazioni artistiche dei ragazzi dell'Accademia di Belle Arti, bar e caffetterie di qualità, le librerie storiche sfrattate da Port'Alba e quelle che resistono senza trovare però la dovuta dignità. Tra l'altro, il progetto prevede l'eliminazione del parcheggio delle Cavaiole, il che renderebbe permeabile il museo all'arrivo a piedi dalla direttrice che arriva fino all'Orto botanico e collegare il Museo con la Galleria Principe di Napoli, che dovrebbe diventare il luogo delle identità di Napoli. Intanto si è già costituita una rete di negozi amici del Mann, della quale fanno parte negozi legati all'identità del quartiere».

Una metamorfosi che spera di vedere da direttore del Mann?

«Io quello che faccio lo faccio sempre per vederlo. Mi auguro che almeno in parte il progetto di trasformazione si possa concludere in poco tempo. L'intento è quello di portare tutti i processi ad un punto di non ritorno, non importa chi taglia il nastro».

Parla di sogno perché il Comune su questo non vi ha dato risposte soddisfacenti?

«No, il Comune è dalla nostra parte, ma il problema più spinoso è sempre quello del traffico, per il quale ci sono delle soluzioni, ma devono essere applicate con gradualità. Certo, saremmo di fronte ad una svolta colossale che riqualificherebbe i portici, via Foria e piazza Cavour. Attenuare il traffico che soffoca quest'area restituirebbe a questi luoghi il fascino della Napoli del Settecento. Attenzione, però: l'eventuale intervento sui palazzi storici andrebbe fatto sempre con cautela, perché nemmeno voglio immaginare una Napoli perfettamente restaurata al punto che quell'idea decadente e un po' noir della città, così affascinante, venga meno. Per me Napoli equivale un po' a città come Lisbona e Marsiglia, che pure si affacciano sul Mediterraneo».

Le strade di Lisbona, però, non sono ridotte come quelle di Napoli. E lo stesso vale per i palazzi.

«Questo è vero. Infatti il decoro va migliorato, ci vogliono forme di agevolazione fiscale per l'edilizia privata, ma inseguire la perfezione significherebbe cancellare una parte dell'identità della città. Se ad esempio dai balconi scomparissero i panni stesi, sarebbe un disastro».

Il grande successo della mostra su Canova, che già dai primi giorni ha fatto registrare numeri strepitosi, mette in evidenza le potenzialità di Napoli, ma anche i suoi limiti sul piano dei servizi e dell'accoglienza. Come si gestiscono i grandi flussi turistici senza restarne sopraffatti?

«A Firenze ci si è attivati da tempo per un'organizzazione dei flussi e per un adeguamento del centro storico in termini di vivibilità e accoglienza, così da incontrare il gradimento del pubblico. A differenza di Firenze, scoperta dai turisti tempo fa, Napoli è un po' indietro poiché il tema dei grandi numeri è iniziato adesso. Certo, era nota ai tempi del Grand Tour, ma prima di qualche anno fa non aveva sviluppato una politica del turismo. Questo significa che abbiamo un'occasione imperdibile: evitare da una parte una standardizzazione dei servizi enogastronomici nella forma della banalizzazione e dall'altra scongiurare la scomparsa progressiva di tutte quelle produzioni che costituiscono l'identità artigianale di un luogo. Una perdita che Firenze, purtroppo, ha subito».

I casi di Venezia e Firenze sono abbastanza allarmanti. Come si governano i grandi flussi turistici, evitando il rischio gentrificazione?

«Se esistono progetti specifici della Comunità europea che misurano profitti e benefici dei flussi turistici, evidentemente si sa che l'afflusso di turisti crea anche degli incomodi per gli abitanti dei centri storici. Ma credo anche che un centro storico evolva in funzione delle novità: si tratta di educare i cittadini ad una prospettiva di vantaggio rispetto alla presenza dei visitatori. E questo non significa solo in un incremento dell'economia in termini di ricettività, ma anche una rinascita commerciale. C'è una pasticceria qui di fronte, ad esempio, che dieci anni fa non avrebbe mai scelto questo luogo».

Lei ha più volte auspicato la nascita di un'isola dell'arte nel cuore della città, che comprenda Mann, Conservatorio di San Pietro a Majella, Accademia di Belle Arti e Galleria Principe di Napoli.

«Il progetto di cui ho parlato va in questa direzione, con una serie di satelliti costituiti secondo noi dalle librerie storiche e dai negozi che conservano l'anima di Napoli».

Un po' più giù c'è via Duomo, la "Via dei Musei". Una proposta in continuità con la vostra.

«Si tratta dello stesso complesso, ma è ovvio che esistono dei limiti di governabilità. L'importante è che i musei inneschino questi processi virtuosi e si connettano tutti con le realtà e le attività circostanti. Se si procede con questo spirito, si evitano anche cose strane. Per intenderci: non è concepibile che a San Gregorio Armeno si vendano statuette fatte in Cina».

Continuando a proiettare lo sguardo in avanti: che margini di crescita hanno il Museo Archeologico e Napoli sul piano della capacità di attrarre visitatori?

«Credo che il Museo Archeologico, con gli attuali servizi, possa prefiggersi il numero limite di un milione di visitatori l'anno. Oltre questo limite naturale si va in sofferenza e non si fornisce più un prodotto di qualità. Per quanto riguarda Napoli, molto dipenderà dalle politiche che saranno messe in campo nei prossimi anni in termini di investimenti, sicurezza, decoro urbano e servizi. Adesso Napoli è stata riscoperta, ma il problema è garantire la continuità. E quella si garantisce con un'offerta di primo livello. Sul piano culturale, ci siamo, bisogna migliorare su altri aspetti, stando molto attenti ad evitare politiche dei prezzi che si approfittino dei turisti, come succede in tante altre città italiane. Oggi, in un mondo globale, la competizione avviene anche tra Italia e Cina o tra Italia e Grecia. E per Napoli uno degli elementi di forza è stata senz'altro la competitività sul piano economico».