Il vittimismo dei vinti

C’è un aspetto dei tragici eventi di Ucraina che non andrebbe sottovalutato. E’ il consenso che la guerra raccoglie tra i cittadini russi. Perché non nasce soltanto da disinformazione, ha ben altre radici. Potremmo chiamarlo il vittimismo dei vinti.

Il fatto è che la Russia non ha mai accettato la perdita del suo “impero”, dopo il 1989-91. Ovvero il distacco dei vasti territori est-europei che per molti decenni erano stati parte dell’Urss o suoi “satelliti”. Non ha mai accettato cioè la sconfitta subìta dall’Occidente nella Guerra Fredda. E si è sentita vittima di chi l’aveva sconfitta. Minacciata dall'emergere, ai suoi confini, di democrazie che guardavano all’Atlantico e non a Mosca. Qui nasce la “dottrina Putin”, che predica il ritorno alla "grande Russia" e interpreta la democrazia come un pericolo per la sua stessa sopravvivenza. E qui nasce il consenso dei russi a un autocrate sanguinario.

Ma il vittimismo dei vinti è assai pericoloso, perché tocca le corde profonde del nazionalismo, giustifica l’aggressività geopolitica, diventa desiderio di revanche. Anche la Germania, dopo la sconfitta del 1918, fu revanchista. Si percepì costretta a una pace iniqua, accerchiata da paesi ostili. Hitler ebbe buon gioco a sollecitarne il vittimismo e, quando scatenò la guerra contro i vincitori di Versailles, ebbe il consenso del paese. I civilissimi tedeschi non vollero vedere gli orrori nazisti e se ne resero correponsabili. Come i russi oggi.