Intervista ad Amedeo Lepore

Una scommessa promettente e avvincente, che però da sola (e da soli) non si può vincere. Guai, insomma, ad attribuire alle Zes proprietà miracolose; ce ne parla Amedeo Lepore, docente di Storia Economica e di Storia dell'Impresa, membro del cda di Svimez e fino a pochi mesi fa assessore regionale alle Attività produttive.

Professor Lepore, lei da assessore ha dedicato molte energie alle Zes. Quali sono opportunità e difficoltà?

«La Campania aveva già approvato un piano di sviluppo strategico, prima che la Regione Campania istituisse la Zes. Adesso spero che vengano nominati presto i componenti del Comitato di indirizzo; accanto al rappresentante della Regione, Gianluigi Traettino, e a quello di diritto, il presidente dell’Autorità portuale Pietro Spirito, mancano le nomine del governo: una spetta al Ministero delle Infrastrutture, l’altra alla Presidenza del Consiglio.

Un’altra importantissima incombenza è il decreto per la semplificazione, che dovrà contenere le norme di secondo livello che servono a facilitare le attività: gli investimenti e i relativi incentivi, la logistica e la allocazione delle imprese.
Per rendere veramente attrattiva una Zes infatti bisogna abbattere le procedure ridondanti e le lungaggini burocratiche. In Italia per aprire un’impresa occorrono 237 giorni, dieci volte in più degli altri Paesi europei: per questo è necessario affiancare un quadro nazionale a quanto è stato fatto sul piano regionale».

C'è il timore che il lavoro svolto in questi anni si possa disperdere?

«Il dialogo con De Vincenti ha prodotto uno straordinario lavoro, che è stato un po’ sottovalutato. Spero che si possa ricreare lo stesso clima, perché è necessario un forte coordinamento tra le istituzioni interessate: governo nazionale, Regione e Autorità portuale. Ma sono convinto che le cose che si devono fare verranno fatte. Del resto, il piano di sviluppo strategico contiene previsioni precise; Invitalia dovrà dare piena attuazione alle iniziative volte a favorire il percorso e avrà al tempo stesso un compito di verifica e di affiancamento alle imprese».

Quanto costa allo Stato la creazione di una Zes?

«C’è uno stanziamento annuale di alcune decine di milioni, ma bisognerà pensare a nuove risorse per finanziare il credito di imposta per gli investimenti fino a 50 milioni, che è maggiore di quello che si applica nelle altre regioni del Mezzogiorno ed è già da solo un potente strumento attrattivo: basti pensare che dal marzo 2017 a oggi ha realizzato 6 miliardi di richieste di investimento, di cui due miliardi riguardano la Campania. Lo stesso vale per i contratti di sviluppo, che infatti sono stati rifinanziati tre volte. La Regione Campania ha aggiunto con una propria legge un esonero dall’Irap per i primi 5 anni.
Ma il tema fondamentale sono le sinergie: non servono le cattedrali nel deserto. C’è una bellissima ricerca fatta da Srn, coordinata da Salvio Capasso, che dice che i settori più avanzati - le “4 A” più la farmaceutica - stanno crescendo più delle industrie del Nord. Ma dimostra anche che si stanno creando filiere produttive sia in ingresso che in uscita che mettono insieme aree territoriali del Nord e del Sud. Questo avviene perché c’è una reciprocità di interessi. Il Nord e il Sud da soli non vanno da nessuna parte.
Così come l’Italia non va da nessuna parte senza un nuovo rapporto con l’Europa. Se non si uniscono le forze, le piccole realtà locali vengono schiacciate dalle grandi potenze internazionali».

Quei 5.486 ettari – sul totale di 1.359.500 della Campania – possono davvero rappresentare la leva per spingere gli investimenti e le esportazioni di tutta la regione?

«Il lavoro fatto nel Mezzogiorno per affrontare le crisi industriali è stato molto profondo. Credo sia la base per mettere insieme questi tasselli e renderli il più possibile sistemici. La Zes da sola non ha un carattere salvifico, ma è uno strumento molto importante. Alcune politiche industriali per creare un circuito virtuoso e promuovere la competizione internazionale sono state realizzate, per questo sono ottimista. Spero che il processo possa continuare a prescindere dalle maggioranze, perché è un tema che riguarda la salvezza del Mezzogiorno.
Non a caso, la durata della Zes è fissata in 14 anni, con possibile proroga di 7 anni, tempi che consentono interventi di carattere strutturale che tengano insieme logistica e investimenti in infrastrutture. A proposito, c’è un dialogo aperto con il governo per rendere il credito di imposta disponibile anche per le imprese che operano nella logistica: per loro, quel prezioso strumento si configurerebbe come aiuto di Stato. Serve un confronto con la Commissione europea per studiare una rimodulazione nell’ambito delle Zes.
Sarebbe una spinta importante».

Ma servono anche gli investimenti privati.

«Certo, ora che le Zes ci sono, le imprese devono investire. E non parlo solo delle imprese locali. Molti imprenditori il coraggio di rischiare lo hanno già avuto: hanno resistito ad una crisi violenta, hanno accettato la sfida e sono riusciti a crescere al livello internazionale.
Negli ultimi anni c’è stato un risveglio del Sud, anche se non si è delineato ancora un percorso durevole. Ci sono, però, le condizioni perché questo si faccia: in tre anni, lo dicono dati di Confindustria-Srm, nell’industria manifatturiera si sono creati in Campania 126mila posti di lavoro e oltre 300mila posti nell’intero Mezzogiorno. Un dato confortante che non viene percepito perché dal 2008 in poi, nel periodo della crisi, di posti se ne sono persi 600mila. Adesso bisogna sostenere e consolidare questa tendenza dovuta all’azione delle istituzioni e ad un nuovo protagonismo di un mondo che ha saputo reagire: le imprese, i lavoratori, i giovani dotati di talento e creatività.
La Zes può essere una marcia in più. E, poiché riguarda una piccola area, è un’occasione per fare sperimentazioni che se funzionano possono essere poi adottate al livello generale. Ma il tema è creare, dalle singole esperienze, un sistema di imprese in grado di generare nuova occupazione grazie ad un “Big bang” positivo tra pubblico e privato. Questo è il vero salto di qualità».

Il viceministro per l'Economia, Laura Castelli, propone di applicare le Zes anche alle periferie delle città meridionali in sofferenza. Può essere, questa, una via d'uscita dal degrado per queste aree, oltre che uno strumento di riduzione del gap Nord/Sud?

«La Zes della Campania riguarda un'area limitata nella quale si possono sperimentare varie misure: il credito di imposta, i contratti di sviluppo, la riduzione del costo del lavoro, un taglio netto del cuneo fiscale come misura strutturale. E bisognerebbe pensare anche a strumenti sovranazionali per favorire una collaborazione nell'area euromediterranea.
Attraverso le Zes e i porti, il Mezzogiorno può svolgere una funzione di questo tipo. Sarebbe una possibilità per non essere passivi rispetto alle vie della seta, che possono essere un rischio ma anche un'opportunità. Per rafforzare la ripresa del Mezzogiorno, però, bisogna proseguire e intensificare le politiche avviate.
Si tratta di mettere insieme i tasselli».

All'estero ci sono casi in cui le Zes hanno funzionato. In Polonia, ad esempio.

«Lì c'è un'alta intensità di incentivi, e le Zes esistevano prima dell'ingresso nell'Unione europea. Ma in alcuni porti della Cina o in alcune realtà nel Mediterraneo e sulle coste africane le Zes hanno avuto una funzione importantissima. Certo, non ci si può aspettare miracoli: ci vuole tempo».

Esiste il rischio che una volta esauriti i benefici fiscali, le aziende vadano via?

«Vede, anni fa ho dato vita ad un'esperienza che purtroppo non è stata portata avanti: il Progetto Sirena. Un'idea di successo perché partiva da una considerazione: anziché imporre vincoli e obblighi, diamo stimoli e incentivi a chi vuole ristrutturare gli edifici. Un approccio che ha prodotto un grandissimo risultato: con quel progetto, solo a Napoli sono stati ristrutturati oltre mille edifici.

Questo anche grazie all'Acen, che con Riccardo Giustino e i successivi presidenti ha interpretato bene quell'esigenza.
I vincoli se troppo forti sono controproducenti
, mentre responsabilizzare i condomini funzionò come moltiplicatore degli investimenti. E fece emergere dal nero tante imprese che entrarono nel circuito virtuoso, creando un nuovo mercato.
Invertendo una legge dell’economia - la moneta cattiva scaccia quella buona - io dico che è la moneta buona a scacciare quella cattiva.
Certo, le imprese predatorie ci sono e bisogna contrastarle, evitando che entrino nelle Zes. Ma se si creano condizioni favorevoli, se le imprese trovano un territorio accogliente, procedure burocratiche semplificate, istituzioni efficienti e buoni rapporti con i lavoratori, perché dovrebbero andare via»?