"Leggi che ti passa" / Il napoletano che cammina

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Sembrerà strano, ma in questi giorni di lunghe permanenze casalinghe i libri più vecchi sembrano avere la funzione di collegarti ad altre mani, ad altri occhi, ti riscaldano il cuore. Le riflessioni, i sorrisi, gli appunti diventano parte di un patrimonio comune ai tanti che hanno toccato quelle pagine e annotato le loro considerazioni. Se vi capita di trovare il libro di Gino Doria “Il napoletano che cammina e altri scritti” non lasciatevelo scappare. Si tratta di una  raccolta di diversi articoli che Gino Doria, raffinato intellettuale, giornalista e amico di Benedetto Croce pubblicò con l’editore Riccardo Ricciardi.

Mio padre, dalla cui biblioteca attingo una parte enorme dei miei stimoli intellettivi, mi diceva quando ero bambina “se vuoi cominciare a conoscere Napoli devi leggere Storia di una Capitale di Gino Doria”, che resta senza dubbio uno dei suoi libri più importanti e uno straordinario strumento per conoscere le tappe, i personaggi, gli avvenimenti di una città un tempo capitale con una visione globale, dall’alto. Nel Napoletano che cammina, invece, Doria ci fa entrare nel cuore della città, passeggia tra le strade, frequenta i caffè e mangia nelle locande più celebri di una Napoli che portava ancora i segni del suo essere stata capitale e ospitava gli intellettuali che avevano vissuto il tramonto di una stagione che, però, poteva ancora contare su fondi bibliotecari, pubblicazioni, scuole di pensiero degni di una grande capitale internazionale. E allora, se potete, cominciate, attraverso questo libro, il viaggio nella città i cui abitanti non conoscono il  significato del verbo camminare, perché passeggiano, si fermano in continuazione e non resistono al chiacchierare, arrivano spesso tardi nel luogo dove sarebbero dovuti arrivare e non se ne lagnano perché il napoletano ha il culto del domani. Quando può rimandare è felice.

Meraviglioso è il capitolo su “Il pedone a sinistra”: non vi svelo la conclusione perché vi leverei il meglio. Ma una chicca è anche “Del colore locale” dove Doria prova a spiegare la differenza tra il colore locale degli stranieri e quello degli indigeni. Così scrive a proposito del colore locale che tanto piace agli stranieri “gli ostentati cenci multicolori, i maccheroni mangiati con le mani, il falso scugnizzo, il falso guappo, tutte le mille falsità della vita napoletana precipitino pure nel mare dell’oblio e noi respireremo con maggior sollievo” -  un’osservazione quanto mai attuale se pensiamo a quanti servizi giornalistici, fiction televisive, pubblicità raccontano ancora la città con questi stereotipi – mentre il colore locale degli indigeni, spiega Doria, è quella specie di intima nostalgia che assale il napoletano quando viene a sapere che sta per sparire un luogo, una strada, un negozio, che sono i simboli di una vicenda millenaria, di una complessa stratificazione storica che rendono delicato ogni intervento in questa città. Intelligente e acuta la considerazione sulla Festa di Piedigrotta e di quanto questa festa notturna renda manifesto quanto Napoli diventi di notte tetra e inquietante. Ma nei tanti articoli non troviamo solo Napoli, ma anche Capua, Capri, i Galli, la Baia di Ieranto - Doria era di madre massese - e anche un po’ di Brasile dove lo scrittore aveva vissuto agli inizi del ‘900.

Concludo segnalandovi che il libro si chiude con un approfondimento sulla celebre canzone il Guarracino. Un piccolo saggio nel quale Doria unisce le sue qualità di ricercatore, la sua straordinaria cultura e la sua raffinata ironia con un esito straordinario che ci fa appassionare alla storia della Sardella e del celebre Guarracino; il breve scritto soprattutto, ci fa capire che cos’è un intellettuale, figura di cui sentiamo sempre più la mancanza, che definirei: persona che diverte e si diverte trattando con competenza e profondità ogni cosa, dal più importante filosofo fino al pesce palumbo!