Annunziata: «Il Porto, città nella città. Semplificazione e sostenibilità ambientale per assicurare lo sviluppo»

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I primi nemici li ha individuati ancora prima di insediarsi: inquinamento e burocrazia. Con questi obiettivi nel mirino Andrea Annunziata ha assunto due mesi fa la guida dell'Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale, definizione complessa per una responsabilità altrettanto articolata, che ricomprende gli scali di Napoli, Salerno e Castellammare di Stabia.

Già parlamentare e sottosegretario ai Trasporti nel secondo governo Prodi, dal 2006 al 2008, il nuovo presidente, che succede a Pietro Spirito, è arrivato negli uffici del Varco Immacolatella via mare, non appena lasciato l'analogo incarico all'Autorità di Sistema Portuale della Sicilia Orientale. Intanto, a pochi passi dalla sua scrivania, in tanti si sono messi in fila per ricevere il vaccino anti-Covid nel centro allestito alla Stazione Marittima.

Presidente, da dove bisogna cominciare?

«I tempi che viviamo richiedono un nuovo tipo di organizzazione per alcuni profili. All'interno dell'autorità ci sono ottime figure professionali, che però devono trovare nuovi stimoli e vanno motivate. Poi, siamo sotto organico: si tratta di una carenza importante, che bisogna colmare. Non si può giocare e vincere una partita se si hanno degli uomini in meno. E intanto va messo assolutamente a punto il documento di pianificazione strategica, il Dpss, uno strumento fondamentale per tutte le Autorità di sistema».

Il Porto di Napoli non ne è dotato?

«No, bisogna fare tutto daccapo ed è necessario un confronto con le amministrazioni di Napoli, Castellammare e Salerno. Il Dpss è la madre di tutta la pianificazione urbanistica dei porti, dalla quale discendono i piani regolatori. Si tratta di uno dei primi esempi di semplificazione, e credo che per redigerlo si debba ascoltare il territorio. Vale a dire, i rappresentanti del popolo nelle varie istituzioni insieme con le tante associazioni. È quello che abbiamo fatto qualche giorno fa per Napoli Est, incontrando in videoconferenza i cittadini. Io vorrei che documento di pianificazione servisse a ridurre le differenze sociali: il Porto attraversa in maniera parallela tutta la città, per questo bisogna mettere da parte gli egoismi. Ho consultato il Comune di Napoli e la Regione Campania, che sono d'accordo con questa impostazione. Io qui non sono il padrone di nulla, bisogna sempre confrontarsi con una variegata platea di interlocutori e decidere insieme».

Quali sono i margini di crescita e di sviluppo del Porto di Napoli?

«Notevoli. Non dobbiamo dimenticare che l'anno prossimo avremo Procida Capitale della cultura. E allora, sì, guardiamo ai turisti, ma senza dimenticare i pendolari che si svegliano alle 5 del mattino. Anche per loro stiamo pensando ad una struttura importante, degna del luogo in cui si trova, cioè al centro di Napoli. Ma dobbiamo fare presto, iniziando a chiudere il cantiere della metropolitana. Con una sistemazione complessiva della viabilità possiamo coordinare meglio tutto, assicurando una migliore e maggiore integrazione con la città in termini anche di sicurezza e tutela dell'ambiente».

Il Porto di Napoli è un punto di riferimento strategico nella dorsale tra Scandinavia e Mediterraneo, ma non gode di buona salute. C'è chi ha denunciato una generale situazione di precarietà della quale il crollo della diga foranea è un esempio. Le risorse del Recovery Fund potranno sostenere il rilancio?

«Purtroppo l'infrastrutturazione va sempre a rilento. Hai voglia di fare il Recovery Plan, ma ci vogliono tempi veloci. Prima di tutto, dobbiamo dire "basta" ai tanti pareri-fotocopia di organismi a livello locale e centrale. E le Soprintendenze devono essere più veloci nel rilascio delle autorizzazioni. Questo è un porto che ha bisogno di un rilancio infrastrutturale importante. Siamo ripartiti col Beverello, abbiamo avuto finalmente le prescrizioni dalla Soprintendenza in relazione al ritrovamento dell'antico molo borbonico. Spero si riprenda a lavorare presto».

Lei ha suggerito di aprire ai privati per reperire i fondi che il pubblico non ha più.

«Investire soldi pubblici dove possono intervenire i privati è un errore. Come per le autostrade, certi beni si possono affidare ad un gestore, che prende in carico la manutenzione in cambio di una concessione che consenta di recuperare l'investimento. Una diga foranea, per esempio, un privato non te la farà mai, in quanto non ci guadagna nulla. Ma il Molo Beverello sì: io lo avrei messo a gara. La buona imprenditoria aspetta di investire con la giusta velocità e la necessaria semplificazione. Così noi potremmo impegnare le risorse sulla diga foranea, una costruzione vecchia di cent'anni, e sul resto del lungomare. Anche quello, se arriva un'altra mareggiata, è a rischio».

I lavori di ampliamento del Porto saranno l'occasione per restituire alla zona Est di Napoli il futuro perduto?

«Rispetto alle nostre competenze, sì. Il Puc per l'area Est mette in primo piano l'ambiente pulito, la sicurezza, il turismo, con gli interventi di valorizzazione del litorale di San Giovanni, il recupero del paesaggio costiero e marino, il ripristino della balneazione, nel rispetto delle previsioni del piano regolatore. Sposiamo quell'indirizzo senza riserve».

A Napoli Est, dopo aver bloccato d'intesa con Comune e Città metropolitana le vasche di colmata della Darsena, autorizzate dalla precedente gestione, ha detto «no» anche alla realizzazione di un deposito di gas naturale nel molo di Vigliena, proposta da Edison e Q8.

«Per Napoli Est il vecchio piano regolatore prevedeva 15 anni fa la delocalizzazione delle attività legate al settore petrolifero, nuove vasche di colmata e un passaggio al Gnl (gas naturale liquefatto, ndr). Ma ormai il gas sta facendo la sua storia, l'epoca del Gnl sarà finita tra 5-10 anni. Bisogna puntare ad altre fonti di energia: l'idrogeno e i pannelli solari, che oggi vengono montati anche sulle navi. Oltre all'elettrificazione delle banchine, anche se quello è un discorso di più lungo termine».

Lei ha indicato nello sviluppo sostenibile una priorità.

«L'ambiente va di pari passo con il resto, abbiamo avviato un confronto con tutte le università della Campania per mettere a punto un progetto complessivo. Io il Porto lo penso come una città: tutta la parte degli immobili, un patrimonio straordinario, deve diventare più bella e sicura, invece oggi attraversare il porto significa vedere scenario fatiscente. Le soluzioni ce le daranno gli esperti: potremmo avere un progetto di altissimo profilo per l'integrazione porto-città che si agganci a qualcosa che è stato già fatto e energie alternative vere».

Quando usciremo dall'incubo della pandemia, ci ritroveremo un nuovo Terminal Beverello?

«Si tratta di un'opera che appena avviata, ormai diversi mesi fa, è stata sospesa a causa del rinvenimento nel sottosuolo di reperti archeologici. Meglio mettersi l'anima in pace: il Terminal Beverello non si farà prima di 18 mesi. Intanto, cerchiamo di realizzare una struttura che sia dignitosa, perché l'anno scorso c'erano gli ombrelloni, e non esistono soltanto il sole e i turisti. Certo, quelli pure sono importanti, ma dobbiamo pensare a chi va avanti e indietro: è giusto che quelle persone siano tutelate nella dignità, perché è di questo che si parla».

Poco più in là, il Molo San Vincenzo, straordinaria passeggiata nel mare ancora negata, cade a pezzi. C'è un progetto per renderlo fruibile e accessibile?

«Stiamo lavorando anche su quello: con il professor Massimo Clemente, dirigente di ricerca del Cnr-Iriss e presidente del gruppo Friends of Molo San Vincenzo, è allo studio una soluzione che, nel pieno rispetto della nostra Marina Militare, che ne occupa la prima parte, consenta di accedere alla seconda parte, di competenza dell'Autorità di sistema Portuale. C'è tanto da fare, ma sono arrivato da 60 giorni e sembra che siano passati sessant'anni».