Datterino (Feltrinelli): «La pandemia ci ha resi più consapevoli. Il rapporto con i lettori è il nostro capitale»

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Mentre noi eravamo barricati in casa, lì dentro stavano tutti al loro posto, tra gli scaffali e le ceste. Con supermercati e farmacie, uffici postali e bar, le librerie sono state nell'amara stagione del Covid i baluardi della nostra resistenza. Punti cardinali che hanno descritto, insieme, il perimetro delle necessità inalienabili e l'orizzonte delle opportunità residue. Cellule vitali di un tessuto connettivo messo a dura prova dal virus.

Così, le storie diverse da quella assai deprimente nella quale eravamo immersi sono state finestre spalancate su mondi ariosi e in qualche modo possibili. Un salvacondotto a portata di mano che ci ha aperto una via di fuga dalla dimensione claustrofobica in cui eravamo intrappolati. La fantasia, insomma, è stata il lenzuolo calato da una cella nella quale a tutte le ore risuonava la macabra contabilità dei contagi e dei decessi, mescolandosi alle voci dei virologi e a quelle dei politici.

Certo, nella bufera del Covid ci siamo fatti recapitare a casa di tutto. Eppure, mentre si facevano largo nuove abitudini, risalivano e si consolidavano le certezze di un tempo che sembrava andato. Al punto che quel rapporto inevitabilmente e improvvisamente sbilanciato tra analogico e digitale (giocoforza, a tutto vantaggio di quest'ultimo) pian piano si è andato riassestando. E quella disfatta che fino a poco fa pareva irreversibile comincia a non apparire più così scontata.

Daniele Datterino, capo area per il Centro-Sud Italia delle librerie Feltrinelli ed ex direttore dello storico punto vendita di piazza dei Martiri, a Napoli, racconta questo recupero senza dissimulare una certa soddisfazione.

Come è cambiato in questi due anni il consumo di libri?

«Dobbiamo partire da un aspetto importantissimo: a un mese dal lockdown, le librerie hanno riaperto. In questo modo è stato riconosciuto, e in qualche caso recuperato e rafforzato, il valore dei libri come beni di prima necessità. Questo è stato fondamentale anche in termini di opportunità: abbiamo visto persone tornare in libreria, vincendo la paura. La relazione doveva essere veloce, immediata, risolutiva, e per di più con le mascherine si faceva fatica a capirsi. Ma quella riapertura è stato un segnale di normalità incoraggiante».

Può darsi che durante la serrata qualcuno, non avendo un cane, abbia utilizzato le librerie come pretesto per sottrarsi alla reclusione?

«Sì, ma è stato comunque un modo per iniziare un rapporto. Io all'epoca ero il direttore del punto vendita di piazza Martiri, e in tanti venivano da noi a dirci: "Io non leggo, ma vorrei iniziare". Questo ci ha sorpresi, e ha innescato una reciproca curiosità. Contemporaneamente, c'erano i lettori abituali che tornavano e richiedevano i libri che volevano».

Vuol dire che c'è una fetta di mercato figlia della pandemia?

«Esatto. Accanto ai lettori che venivano già mirati, con la loro lista di libri li da comprare, ce ne sono stati di nuovi. La lettura ti decentrava da una realtà disastrosa, immergerti in un mondo parallelo ti dava sollievo. La gente ci diceva: "Leggo per non pensare".

Mentre noi eravamo chiusi in casa, appunto, voi eravate al vostro posto. Com'era il mondo visto da lì?

«Era una continua sorpresa e, devo dire, anche un sollievo. Anche noi eravamo impauriti e preoccupati, ma la libreria era la nostra oasi di normalità all'interno di un mondo che ti bombardava di ansie e notizie funeste. Certo, in quel mese di chiusura i libri si erano venduti online, e molto, ma quando il lettore ha avuto l'opportunità di incontrare nuovamente il suo libraio, non c'è stata storia. Ci dicevano: "Non vedevamo l'ora". Da questo punto di vista, per fortuna, nonostante la comodità, l'acquisto su internet non può reggere il confronto».

Pian piano si è fatta strada una rinnovata voglia di condividere esperienze, idee, emozioni, momenti collettivi.

«Quel periodo così sospeso per fortuna è finito. Ma la voglia di cui parla c'è stata sin da subito, non appena sono state riviste le limitazioni su contingentamento degli ingressi e blocco degli eventi in libreria. Vero, alcuni hanno mantenuto un approccio guardingo, restando in libreria il minimo indispensabile. Ma sono una minoranza. Per il resto, la voglia di incontrarsi, di confrontarsi, di parlare non solo di libri ci ha sommersi. Una cartina di tornasole è stata la ripresa degli eventi: dopo un anno di stop, ai primi firmacopie per il CD di Alessandra Amoroso, a Napoli e Bari siamo stati letteralmente invasi soprattutto da ragazzi, quelli che più di altri avevano bisogno di recuperare il respiro della relazione fisica. Nella sala di Napoli non potevamo ospitare più di 20 persone, con obbligo di prenotazione. Ogni volta che annunciavamo un evento, dopo mezz'ora tutti i posti erano prenotati. Mi preme sottolineare che nessuno ha creato problemi, tutto è stato gestito serenamente, con grande maturità e spirito di collaborazione».

Quale eredità ci ha lasciato tutta questa storia amara del Covid?

«Domanda difficile. L'eredità principale è stata la consapevolezza del valore tempo e della qualità delle relazioni. Il Covid ci ha indotto ad indirizzare in modo più accurato i nostri bisogni e le nostre necessità, diventando più selettivi. Oggi abbiamo un rapporto con i lettori molto diretto, con un interscambio molto più proficuo rispetto a prima. Si affidano in modo più convinto alla competenza dei librai, creando un rapporto personale. È un valore enorme per noi: da questo punto di vista, non c'è Amazon che tenga. Credo che sia il grande valore aggiunto sul quale dobbiamo puntare per il futuro. Lo stesso vale per gli eventi: quest'anno siamo tornati quasi completamente alla normalità, e la voglia di partecipare alla vita attiva si respira ovunque: da Ravenna a Palermo, da Napoli a Bari, tutte le presentazioni vanno sold out quasi immediatamente».

La pandemia ha accelerato un processo che era già iniziato o ha creato nuovi bisogni?

«Ha sicuramente accelerato un processo, ma è stata anche un'opportunità notevole. Il mercato online ha avuto evidentemente un vantaggio enorme, e non solo in ambito editoriale. Sono aumentati gli acquisti di libri tramite internet, e questo è entrato a far parte delle abitudini. Negli ultimi mesi, però, le cose stanno cambiando: i consumatori stanno tornando nelle librerie e nei negozi».

Il Covid ha impresso una spinta anche ai libri digitali?

«No, la vendita di e-book non ha ricevuto un beneficio. C'è un feticismo per la carta stampata che per fortuna resiste e non morirà mai».

Che tipo di libri hanno scelto gli italiani per dimenticare la minaccia del virus?

«Sono due i filoni che hanno riscosso maggiore successo. Uno è la saggistica, ma semplicemente perché c'era la produzione letteraria legata ai vaccini e la voglia di sapere e capire portava a cercare titoli di questo tipo. L'altra è la letteratura di evasione, con la narrativa, e lì c'è il corollario dei gusti personali. Ma c'è stato anche un aumento importantissimo relativo alla letteratura per i giovani, a cominciare dai book-toker (autori di clip video diffusi sul web che hanno ad oggetto libri, ndr). Durante la pandemia i ragazzi hanno iniziato a leggere di più: tra gli autori di maggior successo troviamo Yanagihara, Miller, Benni, De Carlo. Ecco, questa è sicuramente un'eredità positiva che la pandemia ci ha lasciato».

Le vendite, dunque, sono aumentate?

«Certo, durante la pandemia si è letto di più, e questo trend continua a crescere».

I consumi culturali al Sud sono stati più o meno importanti che al Nord?

«Credo che Nord e Sud siano allineati. Tra l'altro, il Sud ha una ricchezza culturale che si traduce in una miriade di pagine scritte. A proposito di autori napoletani, nel suo ultimo libro, "La fortuna", la nostra Valeria Parrella scrive che una cosa diventa un limite nel momento in cui la percepisci come tale. Ecco: in un periodo così pieno di limiti, noi siamo riusciti a superarli».