Frattini (Cns): «Digitalizzazione e coordinamento informatico tra i Comuni per garantire servizi efficienti»

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Fatta la Città metropolitana, bisogna fare i cittadini metropolitani: persone che vivano il territorio con una consapevolezza nuova e allargata. Prima ancora, però, bisogna fare i Comuni metropolitani, integrando le singole amministrazioni in un tessuto connettivo che consenta a queste di essere, non solo nominalmente, parte di un tutto. Flavio Frattini, 38 anni, ingegnere informatico e già dottore di ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria elettrica e delle Tecnologie dell'informazione della Federico II, dall'ottobre del 2020 è il direttore generale del Cns, il Consorzio nazionale sicurezza, leader in Italia per la sicurezza del mondo bancario e industriale. Dal suo osservatorio metropolitano – il Cns ha sede a Casandrino, nell'operosa provincia napoletana funestata dalla speculazione edilizia – predica il verbo dell'innovazione. Il primo passo, assicura, per cominciare a trasformare un ammasso indistinto di vie e di edifici in un corpo capace di muoversi e svilupparsi in modo coerente ed organico.

Sette anni dopo la legge istitutiva, la Città metropolitana di Napoli è di fatto un'incompiuta. A suo avviso, le cause sono da ricercare nell'infelice attuazione del dettato normativo o il fallimento sottolinea la crisi dell'idea stessa di Città metropolitana?

«Credo che la causa principale sia stata la cattiva gestione di questa transizione, con il mancato sfruttamento del concetto di Città metropolitana, un istituito che permette anche ai piccoli Comuni di far parte di una zona metropolitana più grande. È stato fatto ben poco per dare seguito a quest'idea, un po' per lassismo e un po' perché non si capiva quanto ci si dovesse distaccare dall'idea di Provincia. Se si fosse capito che si doveva intendere l'area come un tutt'uno anche in termini di semplificazione amministrativa e di digitalizzazione, sarebbe andata diversamente. Spero che con il nuovo sindaco e con il prossimo Consiglio metropolitano le cose vadano meglio. Io credo molto nel concetto di Città metropolitana, se questo significa astrarsi dai singoli problemi per abbracciare una visione più ampia. Ma occorre lavorarci».

Lei è alla guida di un'industria innovativa di livello nazionale che ha sede in un contesto complicato come quello dell'hinterland napoletano. Questo contesto condiziona la vostra attività?

«Nel nostro caso, non molto. Siamo un'azienda metalmeccanica, e il fatto di essere collocati nell'hinterland, semmai, ci avvantaggia nella logistica: essere sulla cosiddetta "via degli spedizionieri" ci permette di raggiungere facilmente diverse destinazioni».

La provincia e l'hinterland sono ancora figli di un Dio minore? C'è ancora uno squilibrio tra la città e le aree periferiche?

«Dal punto di vista dell'industria, direi di no, per i motivi che ho appena spiegato. Sul piano delle attività di rappresentanza, per le esigenze di un libero professionista e sul piano delle possibilità di incontro, sicuramente sì. Anche perché l'hinterland napoletano ha un serio problema di collegamento con i mezzi pubblici».

Ha toccato un nervo scoperto del nostro sistema metropolitano. Quale peso ha sullo sviluppo dell'area il tema dei trasporti e delle infrastrutture?

«Un peso enorme. Pensi che noi abbiamo la sede a Casandrino, ma io sono costretto ad avere una sede legale, di rappresentanza, al Centro direzionale. Altrimenti programmare incontri e appuntamenti con persone che vengono da fuori città sarebbe molto complicato: in pratica, non esistono mezzi pubblici per raggiungerci. Se considera che lavoriamo con i principali gruppi bancari italiani, può farsi un'idea di quanto questa carenza ci possa danneggiare».

Quanto gioverebbe un'armonizzazione dei processi burocratici e amministrativi sul piano metropolitano? In questo senso, la tecnologia potrebbe essere utilizzata di più e meglio?

«In questo senso, la tecnologia è utilizzata poco, per non dire niente. Ci sono ampissimi margini di crescita, questo è sicuro. Basti pensare alle difficoltà che ci sono nelle comunicazioni tra Comuni che appartengono alla stessa Città metropolitana. Racconto un episodio che mi ha toccato direttamente: io, che lavoro a Casandrino, ma sono residente a Napoli, dovevo rinnovare un documento di identità. Per farlo presso il comune nel quale lavoro, era necessario un nulla osta da parte del mio Comune di residenza, quello di Napoli, appunto. Bene, quel nulla osta non è mai arrivato. È come se i due enti in questione fossero amministrazioni completamente separate. Nell'era del digitale, con server e reti ultraveloci che permettono di guardare in streaming un film in 4K, non capisco come possa una cosa del genere possa richiedere più di qualche ora. Sicuramente c'è un problema di conservazione e di messa in sicurezza del dato, ma soprattutto c'è un problema di digitalizzazione. Evidentemente, la lentezza è dovuta al fatto che nei nostri uffici pubblici c'è ancora troppa carta. Questo è il vulnus da rimuovere. Superarlo significherebbe dare una spinta decisiva all'area metropolitana».

Dunque, il "collo di bottiglia", per prendere in prestito un'espressione dal gergo informatico, è l'organizzazione?

«Più che altro ho l'impressione che manchi una figura capace di capire che questo è il problema e di mettere in pratica la soluzione».

Quale contributo possono dare le aziende ad uno sviluppo coerente dell'area metropolitana di Napoli?

«Il contributo dell'imprenditoria dovrebbe essere il buon esempio. Vero, toccherebbe all'amministrazione pubblica il compito di favorire certi processi, ma l'imprenditore potrebbe essere il primo a promuovere uno spostamento verso il futuro. Se invece di rimarcare un problema che è noto e rassegnarsi gli industriali iniziassero ad avere un approccio meno antiquato, facendo in qualche modo da apripista, l'amministrazione sarebbe costretta ad adattarsi. Se tutto il tessuto è di livello medio-basso, ci si adagia e ci si impigrisce tutti. Se invece il tessuto economico comincia a muoversi, il politico ha difficoltà anche a chiedere il voto».

Vi occupate di sicurezza e videosorveglianza urbana. Pensa ad un sistema integrato per i servizi e per la sicurezza su scala metropolitana?

«Sì, e questo è un altro esempio concreto della mancanza di comunicazione tra i Comuni. Ogni amministrazione ha il proprio sistema di videosorveglianza, i propri server sui quali vengono conservate le immagini, la propria polizia municipale che va a controllarle quando è necessario. Manca una comunicazione informatizzata, e se un reato viene perpetrato in un'area di confine tra due comuni confinanti non è ovvio che sia possibile raccogliere tutte le informazioni per metterle insieme e capire che cosa è successo realmente. Insomma, continua a mancare l'integrazione della quale parlavo prima. Servirebbe un coordinamento del quale dovrebbe occuparsi un sistema di livello gerarchico superiore: quello, appunto, della Città metropolitana».

Che cosa deve accadere perché Napoli diventi realmente una città metropolitana, con uno sviluppo armonico e interconnesso e una programmazione unitaria?

«Devono realizzarsi due condizioni fondamentali. Una è l'innovazione tecnologica; l'altra, che paradossalmente oggi deve ancora essere rimarcata, è il rispetto della cosa pubblica. Si tratta di capire come farle incontrare, e credo si debba partire da una maggiore collaborazione tra il tessuto imprenditoriale e gli amministratori locali, che sono i due attori principali di questa trasformazione».