Paolo Macry

Va pensiero
di Paolo Macry

I campioni e i moralisti

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Ma esiste l’invidia sociale? E cos’altro è, se non invidia sociale, la cattiva fama che prima o poi colpisce i campioni, quelli che hanno raggiunto traguardi straordinari, quelli che noi comuni mortali possiamo solo guardare dal basso in alto?

Certo è che in Italia il successo sembra destinato a diventare una corona di spine. Come nel caso Ferragni. Forse la bionda regina da trenta milioni di follower sarà stata scorretta nella gestione degli sponsor, magari avrà trasmesso pubblicità ingannevole. Fatto sta che dall’oggi al domani - e ben prima  che arrivi, se mai arriverà, una sentenza di tribunale - è stata messa sulla graticola dal branco dei moralisti. Pura invidia sociale.

E che dire di Jannik Sinner, il genio della racchetta che dopo quasi mezzo secolo ha portato in Italia una Coppa Davis e ha vinto uno Slam? Sinner non aveva fatto nulla per sollecitare la pruderie del branco, nè andando in giro in Ferrari, nè comprando ville in Sardegna. Piuttosto, a ventidue anni, aveva compiuto un durissimo percorso di addestramento fisico, tecnico e mentale. Ma ha incontrato il destino che questo paese sembra riservare ai campioni.

Prima si è dovuto prestare ai riti repubblicani, ha abbracciato Giorgia Meloni, è stato ricevuto da Mattarella, è stato fatto Ambasciatore della Diplomazia dello Sport da Tajani, lo hanno perfino portato al Colosseo in versione da gladiatore. Poi ha dovuto resistere ad Amadeus che lo voleva a tutti i costi a Sanremo. Ma io non so ballare e non so cantare, ha detto. La gente però sembrava non capacitarsi che qualcuno potesse rifiutare il palco dell’Ariston. Era arroganza? Superbia? Ma è davvero italiano questo Sinner, ha insinuato qualcuno? Infine, è arrivata la botta in testa, perchè si è “scoperto” che il ragazzo - legittimamente - ha la residenza nel principato di Monaco. E subito si sono levate le rampogne. Abbandoni il paradiso fiscale se vuole avere la mia stima, ha tuonato Gianni Alemanno, mentre un corrucciato Aldo Cazzullo gli rimproverava dal Corriere della Sera di “non contribuire alla sanità, alla scuola, alla sicurezza” del suo paese.

Altro che bandiera tricolore, Sinner era diventato qualcosa di simile a un evasore fiscale. Era stato assurto nel Pantheon dei santi, dei poeti e dei navigatori e ora gli dicevano a muso duro che un santo non può voler pagare meno tasse di quante ne chieda l’Italia. Anche se la legge glielo permette.

Ma ragioniamo. E se Sinner invece non intendesse essere un santo? Se avesse fatto la scelta che ritiene più razionale per i propri interessi? Forse il branco dei moralisti farebbe meglio a chiedere alla politica di combattere l’evasione fiscale, di gestire meglio la spesa pubblica e, così, di abbassare l’abnorme prelievo del nostro fisco. O forse, come sempre, è venuto fuori il veleno dell’invidia sociale. Certo, vorremmo essere tutti come Sinner. Ma di Sinner ce n’è uno solo.