Paolo Macry

Va pensiero
di Paolo Macry

Il tragico Carnevale dell’Aia

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Di genocidio si parlò per la prima volta dopo lo sterminio di un milione e mezzo di cristiani armeni ad opera dell’impero ottomano nel 1915-16. Ma il termine entrò nel linguaggio giuridico a partire dal 1948, quando l’Onu lo definì come “l’uccisione di membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso; le lesioni gravi alla loro integrità fisica o mentale; la sottomissione del gruppo a condizioni di esistenza che ne comportino la distruzione fisica, totale o parziale”. Naturalmente, nel 1948, ci si riferiva al genocidio degli ebrei ad opera dei nazisti.

Oggi, tuttavia, nel pieno della “terza guerra mondiale a pezzi”, le categorie politiche e morali sembrano impazzite. La Russia di Putin accusa gli ucraini di nazismo mentre li uccide a centinaia di migliaia. L’Iran delle forche quotidiane diventa il paladino dei palestinesi oppressi. L’autoritario Erdogan equipara Nethanyau a Hitler. E il Sudafrica, infine, facendosi portavoce del mondo antioccidentale, trascina Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia per il reato di genocidio. E’ un tragico Carnevale. Il mondo alla rovescia.

Ora sarebbe fin troppo facile ricordare le persecuzioni subite negli ultimi decenni da minoranze e interi popoli, la pulizia etnica messa in atto da serbi, croati e musulmani nella ex Jugoslavia, i due milioni di cambogiani sterminati dai Khmer Rossi, la Cecenia rasa al suolo da Putin, il massacro dei curdi per mano di Saddam Hussein, gli ottocentomila tutsi trucidati nelle loro case, le etnie decimate dai miliziani arabi del Darfur, gli uiguri martirizzati dalla Cina comunista. Genocidi (o qualcosa di molto simile) di fronte ai quali nessuna folla pacifista è scesa in piazza, nessuno studente liberal dell’East Coast si è indignato, nessuno dei “compassionevoli” Stati del Sud del mondo ha mosso un dito.

Oggi invece sono in molti a plaudire all’iniziativa del Sudafrica, anche tra le illuminate opinioni pubbliche occidentali. “Today we are all South Africans”, ha scritto Carlo Rovelli su X. Sono in molti cioè a chiedere che Israele sia condannata non per un eccesso di difesa o per i drammatici effetti collaterali della guerra (secondo la contabilità di Hamas) o per violazioni del diritto internazionale, ma addirittura per genocidio. Cioè per l’intenzionale e pluridecennale sterminio del popolo palestinese.

E poco conta che la storia dica tutt’altro, che sia cioè la storia del rifiuto incrollabile da parte dei paesi arabi di uno Stato ebraico ai propri confini, del sogno mai abbandonato di espellere gli ebrei “dal fiume al mare”, della sequenza di guerre (perse) per realizzare il sogno. Quel che sembra contare, più della storia, è la forza del petrolio. È l’antico pregiudizio antisemita. È un umanitarismo ipocrita, perché sensibile soltanto di fronte ai “propri” morti.

Il processo-farsa a Israele forse non sortirà effetti concreti. Ma attenzione! È il segno inequivocabile di un Occidente messo ormai alle corde, sul piano geopolitico e sul piano culturale, dal modificarsi degli equilibri globali.