Paolo Macry

Va pensiero
di Paolo Macry

La mater dolorosa e la politica

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Spesso, molto spesso, i familiari delle vittime - vittime di mafia, vittime di babygang feroci, vittime di uomini violenti - “finiscono in politica”. Vengono chiamati a prestare le loro storie dolorose al partito più lesto nel metterli in lista per un seggio parlamentare. A Roma, a Strasburgo. I loro volti servono ad accreditare questa o quella forza politica nella lotta alla criminalità organizzata o alla microcriminalità urbana o allo scempio del femminicidio. Servono a dare al partito di turno la palma dell’antimafia, della legalità, dei diritti di genere.

Gli esempi sono innumerevoli, li conosciamo. Ma quel che sembra accomunarli è il carattere strumentale del fenomeno. Strumentale da parte dei familiari delle vittime, che portano le loro ferite sanguinanti sul palcoscenico del discorso pubblico, fosse pure il palcoscenico dell’Ariston, senza troppo rendersi conto dell’abisso che corre fra una tragedia privata e una strategia di raccolta del consenso. E strumentale, naturalmente, da parte dei partiti, che alla proposta di candidature attendibili e competenti preferiscono la proposta di volti capaci di sollecitare le corde più emotive dell’elettorato.

La sinistra, nel corso della storia repubblicana, si è distinta in questa caccia ai nomi emotivamente sensibili. E’ stata una tessera della sua conclamata egemonia culturale. Ora ci prova la destra di governo. Ma basta una mater dolorosa a rendere credibile la politica, a riavvicinarla ai cittadini, a fare del voto qualcosa di più di un click? Chi scrive, a rischio di apparire ingeneroso, ha molti dubbi.