Laurito: «Miglioriamo l'accoglienza e difendiamo i nostri prodotti. La canzone napoletana oleografica? Macché: può creare lavoro»

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Nei suoi cinquant'anni di carriera ha lavorato al fianco dell'ingegnere-filosofo Luciano De Crescenzo e dell'ambasciatore della canzone napoletana Renzo Arbore, di Raffaella Carrà e di Pippo Baudo, rappresentando il volto di una Napoli insieme sobria e solare. Molto prima, però, Marisa Laurito aveva esordito appena maggiorenne al San Ferdinando al fianco del grande Eduardo in "Le bugie con le gambe lunghe". Era il 1969. Oggi, dopo aver girato l'Italia, l'attrice e showgirl torna a casa per dirigere il "Teatro del popolo" napoletano.

Signora Laurito, la direzione artistica del Trianon le ha dato l'occasione per riannodare le fila di un rapporto che s'era un po' allentato.

«Abito tra Roma e Brescia, dove vive il mio compagno, e viaggio moltissimo per lavoro. Ma non ho dubbi: in vecchiaia tornerò a vivere qui. Già adesso, però, ho intenzione di prendere casa in città per seguire ancora meglio le attività del Trianon. È una cosa che faccio con enorme gioia: riscoprire Napoli, poter camminare per Napoli è una gioia».

Che cosa la fa sentire ancora napoletana?

«Sono napoletana sotto la pelle. Ho parlato sempre e ovunque di Napoli, in questo senso non l'ho mai lasciata. Adoro Napoli in tutte le sue versioni, sono una sua fan sfegatata: ho una filosofia napoletana, ho vissuto per strada fino a 21 anni e ancora oggi parlo con la gente. In questi mesi sto girando per Forcella, che è un quartiere meraviglioso».

In che zona di Napoli è nata?

«Sono nata in casa a via Alessio Mazzocchi, nel quartiere Vicaria, una zona popolare come il Rione Sanità, che in questi anni è stato riscoperto con tutte le sue realtà positive».

Napoli si può considerare un marchio?

«Lo è assolutamente, anche se andrebbero migliorate tante cose che non funzionano bene. La prima riguarda proprio il turismo: a Napoli e in Campania, abbiamo una capacità di accoglienza e un'offerta in termini di bellezza innegabili. Fossi un sindaco o un governatore, punterei moltissimo su questo. E anche le piccole imprese dell'indotto turistico, dalla ristorazione ai teatri, dovrebbero lavorare per perfezionare l'accoglienza. A Napoli, ad esempio, si mangia benissimo, ma bisogna tentare di far mangiare le persone sempre meglio e con cifre civili, se possibile anche con un tocco di storia, di eleganza e di sapere. Dobbiamo mettere da parte quell'abitudine tutta italiana alla furbizia: trattare i turisti come se venissero una volta sola è stupido. Il turista ritorna, e anche se non ritorna, racconta di Napoli. E se ne racconta bene, fa venire altre persone».

Quanto può essere ancora messo a reddito il nostro patrimonio?

«Moltissimo. Abbiamo tanta storia e una grande cultura, ma tanti monumenti, purtroppo, sono ancora chiusi. Sarebbe bello se ognuno nel suo piccolo riuscisse a rendersi conto che quello che abbiamo è preziosissimo. Se gli americani avessero il dieci per cento di quello che abbiamo a Napoli, ci farebbero i miliardi. E questo riguarda anche i nostri prodotti gastronomici, che vanno aiutati e tutelati. I francesi fanno soldi con i loro formaggi, ma noi abbiamo la mozzarella: altro che camembert. Sa, una volta sono stata a pranzo con il presidente di Cartier. Mi ha detto: "Noi francesi siamo molto fortunati, perché voi non sapete usare il marketing". Ed è vero. Io faccio un combattimento continuo perché quando si parla della Terra dei Fuochi nessuno compra più i prodotti campani. L'anno scorso ho promosso una mostra che si chiamava "Transvantgarbage" per dire che le Terre dei Fuochi ci sono in quasi tutta l'Italia, esclusa la Valle d'Aosta. Bisogna, allora, che la gente impari a non aspettare sempre l'aiuto dello Stato, ma che scenda in piazza e protegga i propri prodotti. E ancor di più mi aspetto che lo facciano i miei concittadini, che sono dotati di grande intelligenza e creatività».

Come si fa questo scatto in avanti?

«Prima di tutto, bisogna cambiare la mentalità. Questo passa attraverso un'assunzione di responsabilità: dobbiamo insegnare l'educazione civica ai più giovani. A Forcella, per esempio, farò una lotta al fianco delle associazioni per mantenere pulito il quartiere».

A cominciare dalle rovine greche davanti al Trianon, il cosiddetto "cippo a Forcella", tradizionalmente oltraggiate dai rifiuti.

«Abbiamo chiesto l'adozione della piazza e l'abbiamo ottenuta, vi assicuro che sarà pulita e non ci saranno più rifiuti. Spero di poter fare tanto per il quartiere: ci sono realtà negative, certo, ma c'è anche c'è tanta generosità e tanta gente che vuole cambiare in meglio le cose».

I turisti a Napoli che cosa cercano?

«Accoglienza e decoro. La bellezza la trovano, l'arte pure. Non vogliono essere imbrogliati, giustamente, e vogliono trovare ristoranti puliti, strade pulite. Dobbiamo prendere esempio dalla Puglia, dove è sempre tutto in ordine: non ci vuole molto, basta fare un piccolo sforzo, quello di mettersi nei panni di chi arriva e chiedersi se fossimo al posto suo che cosa vorremmo. Che poi, è una nostra naturale inclinazione: siamo gente accogliente e simpatica, questo atteggiamento ci viene naturale».

Se Napoli è un marchio, lo è anche la sua canzone.

«Certo. Noi abbiamo un marchio fortissimo da esportare, per questo mi sono sempre molto arrabbiata quando mi hanno tacciato di oleografia per "Novecento napoletano", lo spettacolo che misi in piedi con Lello Scarano. Si cantava la canzone napoletana, che è famosa in tutto il mondo e che per fortuna diventerà patrimonio dell'Unesco. 'O sole mio è la canzone più cantata al mondo, seguita da Volare, un'altra italiana. Perché chiamarla oleografia? Penso sia una cavolata da intellettuali che non sono veri intellettuali. Un vero intellettuale capisce che dietro tutto questo c'è il popolo, la tradizione, la cultura, l'arte, ci sono i grandi uomini che hanno fatto Napoli e tutti gli stranieri che a Napoli sono passati e si sono voluti fermare».

Napoli si identifica con i propri simboli, ai quali a volte si aggrappa. Recentemente, ne ha persi alcuni di grande valore: dopo Massimo Troisi e Pino Daniele, il suo amico Luciano De Crescenzo. Quali sono oggi i baluardi della Napoli creativa?

«Il primo che mi viene in mente è il maestro Riccardo Muti. Subito dopo, la mia mente va a Renzo Arbore, che ha portato la canzone napoletana nel mondo. Ma anche a tantissimi attori straordinari come Isa Danieli, Toni Servillo, Vincenzo Salemme, Carlo Buccirosso, che in modo diverso presentano una faccia della napoletanità. Penso, ancora, a Roberto De Simone, a Paolo Sorrentino e a Vittorio Marsiglia, l'unico a cantare le macchiette napoletane come vanno cantate. Ma adoro anche Enzo Gragnaniello, Peppe Barra, Peppino Di Capri, Tullio De Piscopo, Tony Esposito, James Senese: non vorrei fare torto a nessuno, abbiamo così tanti talenti che è difficile fare un elenco. Altro che marchio, potremmo vivere solo di questo».

Quelli che ha appena nominato, però, hanno superato tutti i cinquant'anni. Ci sono giovani talenti in grado di raccogliere la loro eredità?

«Ci sono sicuramente: per esempio, le EbbaneSis (duo femminile che mescola teatro, musica, swing e canzone tradizionale napoletana, ndr) sono molto brave. La cosa meravigliosa è che a Napoli, grazie al Vesuvio, c'è un'energia che smuove la terra, dando vita ad un fermento artistico incredibile».

A proposito di identità e simboli: il Trianon può diventare la culla della canzone napoletana?

«Sto tentando di fare proprio questo: uno Stabile della canzone napoletana. Credo di aver messo in piedi un progetto molto interessante, a marzo lo presenteremo. La mia speranza è quella di far diventare questo teatro, come dice lei, la culla e il punto di riferimento della canzone napoletana. Anche di quella cantata nel Mediterraneo. Da due settimane sto incontrando i tour operator per inserire il Trianon nei circuiti turistici. Farò di tutto perché questo accada: non solo perché la canzone napoletana ha il diritto di essere cantata bene nella sua sede, ma anche perché può portare soldi e pubblico. Insomma: può creare lavoro».