Marassi: «Affollare campi e palestre per svuotare gli ambulatori»

In Campania, record di giovani obesi. Il medico dello sport: «Educare genitori e allenatori per consolidare una cultura diffusa»

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Il cortocircuito sta stretto in un ossimoro: «Siamo il Paese degli sportivi seduti». Una sentenza in un pugno di parole che reca la firma di Piero Sessarego, giornalista dalla penna sopraffina. La sintesi, folgorante nella sua efficacia, fotografa una divaricazione tipicamente latina tra il divano e il campo, tra la fatica dell'agonista e l'appassionata siesta del tifoso. Uno scarto che a Napoli emerge in tutta la sua evidenza: nella prossima capitale europea dello sport si contano più spettatori che attori.

L'affermazione trova un riscontro implacabile nelle statistiche che da anni inchiodano la Campania, puntualmente prima in una di quelle classifiche dove a vincere sono gli ultimi: quella dell'obesità infantile. In Italia, nella fascia di età compresa tra i 3 e i 17 anni, il fenomeno riguarda in modo prevalente il Sud (34,1%), e a primeggiare tra le regioni meridionali è appunto la Campania (37,8%), seguita da Molise (33,5%) e Basilicata (32,4%). Una tendenza che si può invertire lavorando sull'educazione dei figli, ma ancor prima dei genitori e degli allenatori. A spiegarlo è Maurizio Marassi, medico chirurgo specialista in scienza dell'alimentazione e medicina dello sport, che attualmente collabora con il Napoli Calcio femminile e altri atleti vincenti di diverse discipline e negli anni ha seguito, tra gli altri, i pugili della nazionale italiana, con il campione olimpico Patrizio Oliva, e i pallanuotisti del Posillipo che ha conquistato il tetto d'Italia e d'Europa.

Dottor Marassi, dopo l'Universiade, un altro evento porterà Napoli al centro del panorama sportivo internazionale. Che cosa dobbiamo aspettarci da questa esperienza?

«Questo evento dovrebbe valorizzare non solo la componente agonistica, mi aspetto che si favorisca l'avvicinamento dei napoletani allo sport vero. Certo, c'è chi lavora per diventare campione, ma ci si allena prima di tutto per essere più sani. Spesso, al contrario, si considera solo l'aspetto agonistico, quello della performance, mentre altri valori vengono sottovalutati. Da tempo vado ripetendo che lo sport deve essere pensato come una medicina: aiuta lo sviluppo psicofisico dei nostri adolescenti, serve a prevenire malattie, a debellare l'obesità».

Ecco, a proposito: la Campania detiene da tempo il record italiano di bambini e ragazzi obesi. Come si combatte questa piaga?

«Con pochi ma decisivi passaggi: il primo è culturale. Nelle scuole bisogna parlare non solo ai ragazzi, ma anche ai genitori, come ho fatto io stesso in occasione di alcuni incontri. Se i genitori non sostengono le condotte sane dei loro figli, non si va molto lontano. In questa crescita culturale devono essere coinvolti gli istruttori, gli allenatori e tutti quelli che possono trasmettere messaggi positivi. L'operatore sportivo è a tutti gli effetti un operatore sanitario. Quando iniziai a seguire Patrizio Oliva, mi accorsi che pendeva dalle labbra di Falcinelli, il suo coach. Se l'allenatore, anche al livello di dilettanti, non fornisce le giuste indicazioni all'atleta, si rischia di lasciare spazio a terapie sbagliate, a volte perfino violente».

Tra l'altro, l'obesità non comporta soltanto disfunzioni organiche.

«No, il problema dell'obesità diventa quasi sempre una questione di natura psicologica. Il ragazzo obeso vive la realtà di relazione in maniera completamente diversa, è più esposto al bullismo, è limitato in tanti aspetti della vita sociale. In questi casi, bisogna parlare prima di tutto con i genitori e i parenti, che spesso tendono a sottovalutare il problema. Per tanti il bambino obeso ha la faccia dalla salute e va bene così. Invece è importante che questi bambini e questi ragazzi vengano trattati da un medico e non da un biologo nutrizionista o da personal trainer, che spesso fanno danni somministrando diete e terapie sbagliate. Bisogna capire che la dieta è un atto medico a tutti gli effetti».

Napoli e la sua provincia, però, scontano un'annosa carenza di spazi e strutture.

«Le istituzioni dovrebbero occuparsi seriamente di questo, mi auguro che la designazione come capitale europea dello sport serva a sistemare gli impianti decadenti e a riaprire quelli chiusi. Quando c'è una carenza di strutture sportive, la conseguenza non è solo quella di avere meno campioni: avremo più pazienti clinici, molti anche con problemi psicologici. Chi sta bene nel fisico, sta meglio anche nello spirito».

Che rapporto hanno i napoletani con lo sport?

«Credo che abbiano un rapporto più da spettatori che da praticanti. Tutti fanno calcio, quando magari avrebbero bisogno di praticare nuoto, pallanuoto, pallacanestro. Intorno ai 10-11 anni, il bambino dovrebbe fare lo sport che più lo aiuta a sviluppare le sue capacità, assecondando le proprie caratteristiche fisiche e concentrandosi sulla preparazione atletica più che sulla tecnica».

Si può dire che nella nostra città sia diffusa una cultura sportiva, come hanno sostenuto i commissari che hanno scelto Napoli per la manifestazione del 2026?

«Senza dubbio c'è una cultura, anche se, come abbiamo ricordato, le strutture sportive sono poche e per lo più fatiscenti. Certo, una volta davamo all'Olimpiade molti più atleti, mentre oggi i giovani sono sempre più interessati al computer e al cellulare che allo sport. Non a caso, gli atleti che conseguono dei risultati vengono più dalla provincia che dalla città: lì hanno meno distrazioni e possono dedicarsi all'attività agonistica».

Quanto contano, in questo senso, le differenze sociali e culturali?

«Inutile nasconderlo, sono importantissime. Dove c'è più benessere si fa meno sport agonistico. Si praticano discipline di elite come lo sci, i ragazzi fanno sport per divertimento. Pochi hanno voglia di emergere, è una condizione sociale più difficile a sollecitare l'impegno, la fame di successi. Questo succede in particolare nel calcio, una realtà molto competitiva dove si sogna di fare un salto economico».

Quale eredità può lasciare questo evento?

«Mi auguro che possa essere l'occasione per realizzare confronti pubblici su questi temi, per parlare, educare e sensibilizzare i ragazzi soprattutto nelle scuole, che sono il luogo ideale per diffondere una autentica cultura dello sport e per educare ad una sana nutrizione».