Mariottino: «I genitori tornino a educare i figli»

Avvocato e mamma di tre figli, la presidente dell'associazione "31 Salvatutti" non si è arresa: «Se lo Stato latita, tocca a noi vigilare»

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La faccia minacciosa della notte l'hanno vista riflessa sui volti dei loro figli. E hanno deciso che si doveva fare qualcosa. Quello, cioè, che le istituzioni non fanno. «Se quando le chiami in causa le forze dell'ordine ti rispondono che non hanno i mezzi, non puoi che rassegnati», allarga le braccia in segno di resa Federica Mariottino, avvocato, componente del consiglio dell'ordine napoletano e soprattutto mamma. Così, cinque anni fa, facendo propria un'interpretazione estensiva del principio di sussidiarietà che trasferisce di fatto la responsabilità dal pubblico al privato, ha fondato un'associazione. E l'ha chiamata "31 Salvatutti", stemperando l'angoscia di un appello accorato con il diluente di un riferimento ludico. «Siamo nati con l'intento di prevenire il disagio giovanile, in particolare tentiamo di contrastare l'uso di sostanze alcoliche. Abbiamo notato che nella fascia dei pre-adolescenti e degli adolescenti si è diffusa una tendenza ad un consumo smodato che consiste non nella birretta del sabato sera, ma nei famigerati cicchetti a 2 euro mandati giù uno dopo l'altro come se fossero acqua. Un fenomeno che tra i giovanissimi causa anche ricoveri per coma etilico, e che invece è nascosto e sottovalutato», argomenta Mariottino.

Perché questo nome?

«L'idea dell'associazione ci fu suggerita cinque anni fa dalla tragica morte di Nico Incisetto, il ragazzo che a 21 anni precipitò in un dirupo a Positano dopo una serata in discoteca. Storie, come anche quella di Livia Barbato, morta in auto col fidanzato che guidava contromano in tangenziale, che ci hanno scossi, ma che poi abbiamo dimenticato. Dietro quelle morti c'è spesso un abuso di alcol. Il nostro appello, allora, è questo: scegliete un amico che, a protezione degli altri, resti sobrio e possa guidare o chiedere aiuto in caso di necessità».

La quota maggiore di responsabilità è in capo alle istituzioni o ai genitori?

«Noi richiamiamo sempre i genitori ad avere un'attenzione maggiore alla vita notturna dei propri figli. Negli ambienti della movida c'è una promiscuità tra adolescenti e adulti, che si ritrovano tutti insieme a bere e fumare fino a tarda notte. Quanto alle istituzioni, sul fronte della prevenzione manca uno scambio di informazioni tra i pronto soccorso. Se un osservatorio analizzasse il fenomeno, si potrebbe studiare una strategia di contrasto efficace. Invece, quei dati finiscono nel nulla. Sul piano repressivo, ahinoi, sappiamo che nella nostra città non c'è controllo. Abbiamo partecipato a diversi tavoli con la questura, e la polizia di Stato ci ha detto più volte che i nostri figli ce li dobbiamo guardare noi, perché in particolare di notte i mezzi e il personale sono scarsissimi e sono impegnati in altre operazioni. Sì, abbiamo fatto saltare qualche serata che non garantiva la sicurezza degli spazi abbiamo bloccato festini con la somministrazione di alcolici anche a minorenni e senza alcun controllo dei documenti, ma il problema molte volte è che i genitori non sanno dire di no. Ci sono mamme e papà che di fronte a queste obiezioni rispondono che a 13 anni i loro figli devono autoregolarsi. Noi facciamo prevenzione, abbiamo capito che l'unica possibilità era andare nelle scuole a spiegare perché è sbagliato fare abuso di alcol e di sostanze psicotrope, considerata la pericolosità delle droghe sintetiche. Cerchiamo di far capire agli studenti che se le assumi, non hai la garanzia di restare in vita. Altro non possiamo fare».

Insomma, sollecitate l'autocoscienza nei ragazzi.

«Sì, e poi proviamo a fornire pillole di legalità, insistendo sulla tutela della propria salute. Se ogni fine settimana fai abuso di alcool, magari ti va bene e non muori in un incidente, ma quell'abitudine avrà di sicuro un impatto sulla tua vita da adulto. E i giovani alcolisti di oggi saranno gli adulti che dovremo curare domani. Poi, certo, parliamo del pericolo di mettersi alla guida ubriachi, raccontando eventi tragici accaduti a loro coetanei che per una serata sbagliata hanno perso la vita. Diciamo: certi errori non lasciano scampo, pensateci prima. Ci proviamo, anche se gli adolescenti, si sa, amano il rischio e amano le sfide».

C'è bisogno di più sanzioni?

«Per i gestori dei locali abbiamo ottenuto controlli più serrati, ma servono norme più rigide sul consumo di alcol e droghe. E poi, ripeto, bisogna scuotere le coscienze dei genitori, affinché li controllino quando tornano a casa. Invece spesso i comportamenti diseducativi vengono proprio da lì: concedono facilmente le chiavi di casa, comprano ai figli diciottenni auto di lusso. E troppe volte si disinteressano di quello che fanno, di come e dove hanno trascorso la nottata. Io ho tre figli che ormai hanno superato i vent'anni, ma fino a qualche anno fa, quando uscivano li aspettavo sveglia».

La notte di Napoli contiene più insidie o più opportunità?

«Secondo me sono ancora molte di più le insidie. Finché non si arginano i problemi legati alla malavita, sarà così. Ma è anche vero che i ragazzi molte cose le fanno per noia, perché non hanno alternative. La serata qui passa sempre allo stesso modo: o si mangia o si beve nei soliti posti. E in pochissimi stanno attenti a non dare alcol ai minori. D'altra parte, ho l'impressione che molti locali siano coperture della malavita, e se è così certo non si fanno scrupoli».

La notte di Napoli, dunque, è soprattutto annoiata?

«Di sera qui esiste un'offerta dedicata ad un pubblico adulto e acculturato, ma per i ragazzi c'è poco e nulla. Questa è una generazione che ha grandi mezzi, ma è malata, demotivata, arresa, isolata, perché non vede il futuro. I nostri ragazzi sono seppelliti da notizie negative, per cui vivono alla giornata. Ed è pericoloso. In più, come dicevo, Napoli non è una città organizzata per i giovani, e questo alimenta ulteriormente un distacco dalla realtà che li spinge verso le dipendenze tecnologiche. Molti ragazzi se ne stanno chiusi nelle loro stanze a giocare a videogiochi violentissimi, e quando escono pensano di essere ancora in un videogioco. Poi c'è il tema del bullismo, che nelle scuole, e ancora di più sui social, è molto diffuso. Non a caso, gli insegnanti sono disperati: gli allievi o si addormentano o si perdono nei cellulari. Tenere una classe attenta è un'impresa difficilissima».

Che cosa si può fare per contrastare questa deriva nichilista?

«Di fronte a questa carenza di opportunità, la risposta dei ragazzi è stordirsi, obnubilarsi per combattere la noia. Il nichilismo dei ragazzi si combatte offrendo loro luoghi e occasioni per stare insieme, costruendo alternative vere: la musica, lo sport, il teatro, la danza. Tutto quello che restituisca loro la possibilità di comunicare veramente, non attraverso uno schermo».

La cronaca recente ci suggerisce che Napoli di notte è pericolosa: è così?

«Fatti come quelli che sono accaduti a Mergellina e a piazza Municipio, a pochi passi dal Comune, non sono isolati. Tutto sommato, considerato che non c'è controllo del territorio, le cose non vanno neanche malissimo: abbiamo imparato ad autoregolarci, evitando i rischi. Ma se dobbiamo stare attenti a tutto, non possiamo dirci veramente liberi. E questa non si può definire normalità».

Il presidio del territorio da parte delle forze dell'ordine è inadeguato?

«Assolutamente sì: di sera girano appena quattro auto della polizia municipale. Sono stata in molte città europee, e non ho mai visto l'abbandono che c'è qui. In pieno centro, tra Piazza Dante e Port'Alba, orde di motorini sfrecciano indisturbati tra i ragazzini come schegge impazzite. Dobbiamo sapere che questa città, che pure è votata al turismo internazionale, dopo una certa ora è completamente abbandonata a sé stessa».