Palazzo Fondi, dal vuoto al pieno (e ritorno)

Attena (Urban Value): «Per cinque anni abbiamo ospitato produzioni cinematografiche e teatrali, ma a gennaio il nostro tempo scadrà»

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Il problema è che poi finisce. E spesso finisce troppo presto, quando le idee hanno appena spiccato il volo. «Un progetto ha bisogno di un tempo per radicarsi ed evolvere. Il rischio della temporaneità è quello di non consentirne il pieno sviluppo», si rammarica Alessandra Attena, capo progetto per Urban Value, la divisione di Ninetynine Srl che si occupa di rigenerazione urbana temporanea e che dal 2018 gestisce il monumentale Palazzo Fondi, in via Medina, a Napoli.

Ogni medaglia ha il suo rovescio, e questo è particolarmente amaro da mandar giù. Perché se mentre sei lanciato in corsa verso il traguardo devi tirare il freno a mano, lo slancio della ripartenza rischia di sprofondare in una vertigine di frustrazione. E la riconquista di uno spazio negato, con una data di scadenza che incombe sul futuro prossimo come una mannaia, finisce per diventare un successo evanescente.

L’altra faccia degli usi temporanei, strumento al quale si fa sempre più ricorso per restituire valore economico e sociale ad aree e edifici inutilizzati, può essere questa: uno spreco di risorse, di esperienze, di conoscenze. E di entusiasmo, motore invisibile eppure decisivo di ogni impresa. Un senso di spiazzamento, allora, è inevitabile. «Dovremo lasciare Palazzo Fondi a gennaio dell’anno prossimo, e molte cose si interromperanno prima che si siano sviluppate compiutamente», spiega Attena, responsabile delle attività dell’immobile, tracciando il perimetro di un programma di rigenerazione urbana che riuscirà a dispiegare solo in parte i suoi effetti. Di quella medaglia, però, l'imprenditrice vuole guardare anche il lato migliore: «Resta a tutti noi un valore, quello di aver ridato vita ad un luogo che prima era deserto e dove adesso succede sempre qualcosa. Tutti ne usciremo arricchiti. E poi - aggiunge - la nostra sperimentazione può indicare una direzione».

Sono molti a Napoli i progetti annunciati a più riprese e mai realizzati. Quella degli usi transitori può essere la via per uscire dall’incompiutezza?

«Sì, potrebbe esserlo nella misura in cui si riescano a trovare degli strumenti per velocizzare le pratiche burocratiche per l’affidamento degli spazi, che sono sempre abbastanza articolate. Si tratta di beni che hanno destinazioni urbanistiche rispetto alle quali gli usi temporanei prevedono delle deroghe: più si snellisce questa burocrazia, più lo strumento del temporary use risulta funzionale alla riapertura delle strutture abbandonate, che sono tantissime».

Che tipo di risultato dobbiamo aspettarci da questo modello?

«Credo che gli usi temporanei siano utili se accendono una luce sulla possibilità di creare valore laddove questo non esiste più. Il temporary use può dare un’idea di cosa si possa realizzare all’interno di edifici abbandonati e di come questi possano essere utilizzati a vantaggio della comunità. Noi abbiamo usato l’uso temporaneo per fare marketing immobiliare per i grandi enti che avevano grandi proprietà inutilizzate, ma va considerato il vincolo della temporaneità. Intendo dire che un fabbricato concesso ad una società per un utilizzo di due anni consente di intraprendere solo alcuni progetti. Mi riferisco in particolare a quelli legati al sociale e alla cultura, che più di altri riconsegnano valore a questi luoghi: sono iniziative che hanno bisogno di un tempo per potersi radicare e per evolvere. Il rischio della temporaneità è quello di non riuscire a svilupparle e realizzarle pienamente».

Per Palazzo Fondi, edificio di pregio in pieno centro storico che avete preso in gestione cinque anni fa, l’uso temporaneo ha segnato una svolta. Come è nato e come si è sviluppato il vostro intervento?

«L’immobile, di proprietà dell’Agenzia del Demanio, era abbandonato da 8 anni. E, si sa, per una pubblica amministrazione o per un ente, un bene in disuso genera molti costi passivi, oltre a comportare una notevole perdita di valore sul mercato immobiliare. Una volta che viene concesso ad una società come la nostra e viene riempito di contenuti, però, un edificio torna a vivere in tutti i sensi. E con della vita dentro, cambia tutto. Palazzo Fondi prima non interessava a nessuno, oggi tutti vorrebbero averlo».

Insomma, sono i progetti a restituire valore.

«Esatto. Il nostro lo abbiamo elaborato in divenire: il primo bando dell’Agenzia del Demanio era del 2018 e prevedeva un affidamento temporaneo di 18 mesi. Noi che venivamo da esperienze simili a Roma pensavamo di farne un luogo per eventi. Quando sono entrata nel palazzo, però, mi sono resa conto del fatto che limitarsi agli eventi sarebbe stato riduttivo. Così, data la mia esperienza nel settore delle produzioni cinematografiche e teatrali, e considerato che il carattere della temporaneità si sposava molto bene con le esigenze del cinema e del teatro, i cui progetti hanno un inizio e una fine, abbiamo deciso di creare spazi a servizio della produzione di film, serie tv e spettacoli teatrali. Inoltre, abbiamo riservato un’area per le grandi mostre, che sono da sempre la storia di Ninetynine, e abbiamo voluto allestire nella corte un luogo di convivialità che potesse riconsegnare il palazzo alla cittadinanza per 365 giorni all’anno. Allora è nato il bar, dove le persone che vengono da fuori possono intrattenersi e quelle che lavorano nel palazzo, legate da un fil rouge, possono incontrarsi, confrontarsi e scambiarsi delle idee».

Quante società abitano oggi Palazzo Fondi?

«Almeno una trentina, più quelle che si avvicendano per periodi più brevi, tutte portate da noi. L’accesso è aperto a tutti: chi ha bisogno di uno spazio, si rivolge a noi per un fitto temporaneo. Gli incassi vanno a Urban Value, che si occupa di manutenere il palazzo e di pagare le bollette e le spese, comprese quelle per la vigilanza. In pratica, siamo diventati una comunità nella quale noi siamo gli amministratori. Noi, a nostra volta, paghiamo un canone all’Agenzia del Demanio».

La vocazione cinematografica si affianca all’attività della Film Commission della Regione Campania?

«Sì, abbiamo lavorato molto con la Film Commission, ospitando, in mancanza di uno spazio deputato (il Polo dell’audiovisivo, a Bagnoli, attende ancora di essere inaugurato, ndr), tutte le produzioni dei film e delle serie tv che sono passate a Napoli in questi anni, con uffici di produzione e post produzione, uffici di regia, casting, sartoria».

Quali sono i lati positivi degli affidamenti temporanei?

«La temporaneità si traduce necessariamente in produttività. Il fatto di avere un orizzonte limitato è un pungolo: devi ottenere il massimo nel minor tempo possibile. Banalmente, questo ti permette di essere tempestivo, di trovare soluzioni molto rapide. La natura temporanea è sfidante, e ti porta verso un modello virtuoso, di efficienza. Se un’operazione ha un obiettivo a breve termine, riesce a consolidarsi più facilmente, mentre la staticità aumenta il rischio di adagiarsi. E poi in questo modo si inducono realtà diverse a mettersi insieme. È capitato più volte che dei soggetti si siano dovuti associare, come nel caso del bar al piano terra di Palazzo Fondi, che è una società composta da 12 soci messi insieme da noi. Abbiamo avanzato una proposta ad alcuni nostri contatti che si occupavano di ospitalità e abbiamo detto: vi diamo questo spazio ad un costo vantaggioso, voi dovrete impegnarvi a manutenerlo, a fare i lavori di adeguamento e a garantire il servizio. Loro si sono incontrati, si sono associati e hanno fatto un investimento insieme, avendo davanti 12 mesi per realizzare il progetto».

Quest’avventura, però, sta per concludersi.

«Purtroppo sì: l’affidamento scade a gennaio dell’anno prossimo. Abbiamo iniziato nel 2018 e finora siamo andati avanti con delle proroghe anche di sei mesi in sei mesi. Un’apprensione condivisa con altre realtà come Casa del Contemporaneo: sono stati i primi ad entrare con noi nel palazzo e hanno vissuto con noi anche le incertezze dei rinnovi. Stavolta, però, non ci saranno dilazioni».

Che cosa sarà di Palazzo Fondi?

«Sarà ristrutturato e diventerà una sede dell’Agcom e dell’Agenzia del Demanio, i cui uffici attualmente sono dislocati in vari punti della città».

C'è il rischio che la vostra esperienza vada persa?

«Sì, ed è un grande peccato, perché dietro c’è una grande tenacia: andare avanti senza sapere se tra un mese potrai continuare è dura. La difficoltà della sfida è riuscire a garantire una progettualità anche in queste condizioni, e ci siamo riusciti: il palazzo è sempre pieno. Sarebbe virtuoso trovare nuovi spazi per proseguire e ampliare quanto è stato iniziato. Questi progetti a un certo punto dovrebbero trovare collocazioni definitive, o almeno di lungo periodo, capaci di garantire una prospettiva e di coinvolgere una platea ampia. Per creare un’identità ci vuole tempo».

Siete soddisfatti di come avete utilizzato quello che avete avuto a disposizione?

«Direi di sì. Oggi il cinquanta per cento dei napoletani conosce Palazzo Fondi, ma nel 2019 nessuno sapeva dove fosse».