Petrone: Quartieri, luogo di accoglienza e di identità. Il tema sicurezza? La vera emergenza sono gli abusi.

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Un alveare di cemento e tufo tra la collina e il mare. A descrivere meglio di qualunque parola la densità obliqua dei Quartieri spagnoli, il reticolo ortogonale di viuzze dove nel XIV secolo si insediarono le truppe di Don Pedro de Toledo, sono i numeri. La fotografia è di Giovanni Laino, professore di Tecnica e pianificazione urbanistica alla Federico II, che nel libro "Il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo. La partecipazione come attivazione sociale" (Franco Angeli, 2012) scrive: «Oltre 170 isolati, con quattro o cinque piani fuori terra, per essendo in diversi casi monocondominiali, sono più frequentemente divisi anche in più fabbricati con stretti corpi scale e piani tipo di uno o due vani. Complessivamente nei circa 600 condomini, sono presenti quasi 3000 nuclei con circa 15.000 persone. Molte delle persone in difficoltà abitano nei 900 bassi (abitazioni a piano terra con uno o due vani e piccoli servizi) cui si alternano, ai piani terra degli edifici gli accessi di altre 150 abitazioni monofamiliari poste nei piani ammezzati. La varietà e la vitalità della zona sono determinate anche dalla presenza di 250 botteghe di tipo artigianale, 360 negozi e tante altre attività,196 depositi e 223 garage».

In questo popoloso e popolare pezzo di città, un'enclave ricavato su un declivio di mezza costa per il quale la II Municipalità di Napoli ha approvato di recente un progetto di riqualificazione e restyling, è venuto ad abitare il teatro d'avanguardia. E a ben guardare, di avanguardia si tratta, poiché prima di tanti altri qui sono arrivati loro. «Allora era complicato entrare ai Quartieri: la gente aveva paura, mi hanno raccontato che con la gente del posto si è dovuta aprire una sorta di trattiva per annunciare una nuova presenza. Ma mi hanno anche detto che non ci sono mai stati grandi problemi, a parte alcuni episodi di piccola delinquenza. Tra l'altro, portavamo una proposta teatrale non popolare, che poggiava su un pensiero poetico. Dunque, era una doppia scommessa. Ma questo è un quartiere che accoglie, con una predisposizione al multilinguaggio che arriva da molto lontano. Ancora oggi, le persone che vengono non sono abitanti dei Quartieri, eppure ce lo lasciano fare», spiega Giovanni Petrone, raccontando di quell'avventura che ha preso il nome di Casa del Contemporaneo. Una storia nella quale sei anni fa si sono fuse le esperienze dell'ex Teatro Nuovo/Fondazione Salerno Contemporanea, diretta da Igina Di Napoli, della Compagnia Teatrale Enzo Moscato e de Le Nuvole, diretta appunto da Petrone, che è anche presidente dell'Associazione Casa del Contemporaneo.

Presidente Petrone, i Quartieri Spagnoli stanno cambiando rapidamente. In che direzione va questa metamorfosi?

«I Quartieri Spagnoli sono un posto eccezionale proprio per le persone che ci abitano. Al di là dei problemi, qui c'è tanta verità. Il cambiamento? Quello avviene continuamente. Io eredito e dirigo una società che è la sintesi di una radice molto forte, composta dall'ex Teatro Nuovo, che io frequentavo da spettatore: una storia di 35-40. Noi ai Quartieri siamo arrivati dopo un arrivo importante, quello di Laura Angiulli con Galleria Toledo. 

La vostra è stata una scommessa sotto vari aspetti.

«L'opera di recupero della Sala Assoli, che si trova in un palazzo storico, nei locali sottostanti al Teatro Nuovo, sottoposti alla strada, è stata difficile sul piano dell'agibilità e della messa in sicurezza. Si tratta di un ambiente sottoposto al livello della strada, dal punto di vista puramente imprenditoriale l'investimento era antieconomico. Ma abbiamo subito avvertito la necessità di andare avanti».

Anche la composizione sociale del quartiere è cambiata.

«Questo tipo di cambiamento lo abbiamo notato moltissimo. Nella stagione appena finita, la prima del nuovo corso, era in programma lo spettacolo "Mare Mater", nel quale avevamo coinvolto bambini dei Quartieri. Ne abbiamo presi cinquanta, dieci a turno, dalla scuola Duca D'Aosta, dove abbiamo tenuto un laboratorio. Tutte le sere venivano a vederli i genitori: ebbene, tra di loro c'erano liberi professionisti e abitanti storici che campano alla giornata. E poi, come ho detto, persone da altre zone vengono da noi per vedere il teatro di ricerca. Io credo che prima o poi questa contaminazione servirà anche ad educare le persone. A far capire, per dirne una, che non si può sfrecciare in motorino per i vicoli a tutta velocità e contromano. 

Credete, insomma, in una deterrenza culturale.

«Ormai il quartiere ha delle regole proprie, qui le norme lasciano il tempo che trovano. Noi avevamo il dovere di non assecondare l'anarchia e di dare l'esempio. Per questo, abbiamo scelto di fare i lavori di ripristino di Sala Assoli in tutta legalità. Certo, abbiamo speso il doppio e per completare l'intervento ci è voluto un anno e mezzo. Ma bisognava farlo così».

Da tempo si favoleggia di una trasformazione urbanistica dei Quartieri. Ora un nuovo progetto di rigenerazione urbana promette di trasformare quest'area fragile e sovrappopolata della città in vero e proprio borgo, consolidando le aree pedonali e garantendo l'accessibilità dei mezzi di emergenza e le vie di fuga in un'ottica rivolta al turismo. Lei come se lo immagina questo pezzo di città tra dieci anni? E come lo vorrebbe vedere?

«Sicuramente non vorrei che si cambiasse il sapore di quest'area. Qui ancora si registra un rapporto umano tra le persone, mi auguro che questa cosa non cambi, perché il rischio c'è. D'altro canto, mi auguro che le persone prendano coscienza del luogo in cui abitano e che cerchino di stare meglio. Parlo dell'igiene, del decoro e della sicurezza: cose che tornano a loro in termini di un miglioramento del livello di vita. E poi spero che vengano pedonalizzate le prima due o tre traverse, a partire da via Toledo e fino al Teatro Nuovo: sarebbe una cosa rivoluzionaria, esplosiva. Sarebbe il vero rilancio dei Quartieri: così si conserverebbe e si valorizzerebbe quello che c'è. Se li metto a confronto con i Decumani, ai Quartieri spagnoli trovo una maggiore identità. Mentre i Decumani sono stati contaminati dal turismo, qui il ventre si è conservato meglio. Per questo mi auguro che quest'area non diventi una distesa di b&b a cielo aperto. Me l'immagino, invece, come un borgo fatto di ristorantini, botteghe di artigianato, teatri e piccole realtà culturali. Cose che raccontano l'identità del luogo e danno l'occasione di conoscersi. Una cosa della quale oggi abbiamo bisogno più che mai. È quella la vera socialità».

A proposito: il turismo ai Quartieri è stato il motore di una riconversione sul piano economico: da un'economia illegale, dello scippo, dello spaccio e di una sopravvivenza fatta di espedienti spesso oltre il confine della legalità, si è passati ad un'economia del vicolo e all'impresa familiare, con piccole trattorie, vinerie e bar. Per non parlare degli alloggi. Molti, insomma, hanno capito che il turismo era un'occasione per cambiare vita, per ripulirsi.

«Già, ora ci sono una valanga ristorantini e bed and breakfast. La fortissima ondata di presenze mette in moto un bel pezzo di economia. E poi ci sono tante associazioni, che a mio avviso hanno tutte un approccio giusto. E' importante essere coscienti del luogo in cui ci si trova: lo notiamo dalle compagnie che vengono alla Sala Assoli e restano enormemente affascinate dal luogo. Secondo me è dovuto al fatto che siamo qui: gli artisti sentono forte l'identità. Fatta eccezione per i vicoletti più a ridosso di via Toledo, dove si vendono souvenir, c'è ancora il negozietto che vende i detersivi e sembra uscito dagli anni '80. Oggi è così, non so se un giorno anche i Quartieri diventeranno come via Benedetto Croce, dove è tutto abbastanza finto».

Nel raggio di poche centinaia di metri, ci sono ben tre teatri: Galleria Toledo, il Nuovo e Sala Assoli, appunto. I Quartieri spagnoli, prima ai margini sul piano sociale, culturale ed economico, sono protagonisti del risveglio culturale che attraversa Napoli ormai da diversi anni. Questa zona può diventare un distretto del teatro?

«Un po' sta già succedendo, e secondo me si può proseguire su questa strada. Il risveglio culturale di cui parla ha radici profonde, e da qui sono partiti artisti che si sono imposti a livello nazionale, come Martone e Servillo, ed è passato un mondo legato alla sperimentazione, che ha lasciato un segno. Negli ultimi tempi, inoltre, stanno nascendo altre piccole realtà che svolgono una funzione interessante. Tutti lavoriamo con l'idea di stare avanti ai linguaggi di massa senza assecondarli, con un pensiero poetico e non convenzionale. Del resto, la funzione del teatro è questa: leggere il contemporaneo senza restare intrappolati nel passato. Sollevare il problema, non risolverlo. Certo, prima o poi bisognerà capire se è il caso di lavorare ad un sistema coordinato delle attività che si fanno nei Quartieri. Insieme si diventa più forti e c'è maggiore scambio. La troppa autonomia accentua i personalismi. E poi non dobbiamo dimenticare il ruolo del Comune. Altrimenti ci abituiamo a fare da soli, e non funziona».

Ai Quartieri esiste ancora un problema di sicurezza?

«Qualche volta, purtroppo, ancora si spara con le armi per festeggiare un compleanno. Ma questo problema è esteso in tutta la città, in quanto c'è un problema di mutazione della criminalità. Dunque, non posso dire che stiamo tranquilli. Qui, però, mi fanno sentire come se fossi uno di loro. Se sanno che uno viene per fare teatro, trova un clima di accoglienza. Poi c'è il degrado dei palazzi: qui vige il "fai da te", che non aiuta. C'è chi apre finestre nei muri, chi costruisce un ballatoio dove non c'era. Cose che sono sempre successe. Ma la stanchezza delle mura può dar luogo a crolli o a cedimenti. Ecco, mi fa più paura questo tipo di insicurezza, perché c'è poco controllo e le strutture cominciano ad avere i loro anni. La vera emergenza, secondo me, è questa».