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Per anni, Giuseppe Pulli ha avuto in mano la gestione di diversi servizi strategici del Comune di Napoli. Dell'esperienza dell'ex super-dirigente, andato in pensione un anno e mezzo fa, ha scelto di avvalersi Ciro Verdoliva, commissario straordinario della Asl Napoli 1 Centro, chiamato a governare il restauro e la ristrutturazione degli Incurabili, complesso insieme monumentale e ospedaliero funestato da un crollo all'alba del 24 marzo scorso. Un sintomo doloroso ed allarmante dello stato di abbandono in cui versa il patrimonio storico-artistico in uno dei centri storici più antichi e più ricchi del mondo.

Architetto Pulli, il centro storico di Napoli è insieme splendido e decadente. Come si cura?

«Sono stato dipendente comunale per quarant'anni e dal novembre 2017 sono stato collocato in pensione per raggiunti limiti di età. Agli aggettivi che ha scelto se ne possono aggiungere altri due: "decaduto", ma certamente anche "recuperabile". Il centro storico non è perso, come molti centri storici che sono stati fortemente snaturati. In certe zone, come i Quartieri Spagnoli, nati nel 1500, molti degli edifici della scacchiera sono cresciuti un po' in altezza, ma lo schema è rimasto inalterato».

A Palazzo San Giacomo lei è stato qualcosa di più di un semplice dipendente comunale. Se fosse un medico, quale diagnosi darebbe per il centro storico?

«Sono stato vicedirettore generale dell'area tecnica ed ho coordinato tutte le attività tecniche del Comune. Come dicevo, il centro storico è recuperabile, ha conservato gran parte delle caratteristiche derivanti dalla stratificazione e può certamente essere restaurato. C'è da dire che in buona parte è costituito da edilizia speciale, vale a dire da grandi complessi conventuali e chiese. Alcuni sono stati trasformati, altri sono diventati sede delle Università. Quegli edifici hanno un significato importantissimo: penso al lotto degli Incurabili, che ha accanto Santa Patrizia, dove ha sede l'Università, e il convento di Regina Coeli che, perfettamente conservato, ospita un educandato. In centro ci sono decine di conventi nei quali vanno previsti interventi di rifunzionalizzazione, magari modificando la destinazione d'uso. Spostare le Università fuori dal centro è stato un errore: creando dei campus nei palazzi storici, Napoli poteva competere con Oxford e Cambridge. Questo è uno dei motivi del depauperamento del centro di Napoli, ma non è l'unico».

Quali sono gli altri?

«Bisogna invogliare il ritorno della borghesia nel centro storico. Prima c'era una forte compresenza di classi sociali diverse: artigiani, popolo, professionisti, docenti universitari vivevano tutti insieme, uno accanto all'altro. Poi, con l'espansione della città, dagli anni '60 in poi, una certa voglia di novità ha portato molta popolazione ad andar via. Questo ha causato un fortissimo impoverimento della zona. In centro sono rimasti quelli che non sono potuti andare via. Per invertire questa tendenza e per evitare il rischio gentrificazione bisogna che tornino i professori, i medici, una borghesia intellettuale. Per rinascere, il centro storico ha bisogno di questa pluralità culturale. La mutazione socio-economica, infatti, impatta anche su un piano economico».

In che modo?

«La caduta del reddito cittadino implica una difficoltà a recuperare un gap che si colma anche con un'industria moderna. Per quanto sia importante, non si può vivere di solo turismo. Se prevale la popolazione a basso reddito, anche le ristrutturazioni restano al palo. Certo, nel nostro centro storico c'è una grandissima parte di proprietà pubblica o para-privata. Ma qualsiasi investimento pubblico non risolverebbe il problema. Ci vuole un'operazione sinergica pubblico-privato. A via Costantinopoli, per esempio, se non si sanano le ferite degli edifici privati, il quadro generale resta quello. L'edilizia privata rappresenta una parte consistente del patrimonio immobiliare del centro storico: moltissimi di quegli edifici, nobili e molto belli, hanno gli intonaci che cadono a pezzi, sorretti da reti sistemate per scongiurare crolli (una grande rete è adagiata da tempo immemorabile anche sotto l'arco di Port'Alba che dà su piazza Dante, ndr). Basta andare a Roma, ma forse anche a Salerno, per non trovare un solo cornicione fatiscente. Questo significa che il nostro centro storico è caratterizzato, oltre che dalla litigiosità e dall'incapacità di organizzarsi, da una difficoltà economica strutturale. Non a caso, anni fa Progetto Sirena ha funzionato».

Sarebbe il caso di riproporlo?

«Ora ci sono il sisma bonus e l'eco bonus, che garantiscono un risparmio fino al 75-80 per cento, aiutando i cosiddetti "incapienti". Insomma, gli strumenti per intervenire ci sono anche oggi. Occorre, piuttosto, una grande operazione culturale rivolta ai cittadini e ai condomini, che promuova uno sguardo lungimirante».

Chi se ne deve fare carico?

«I Comuni, le associazioni di categoria come l'Acen, gli ordini professionali, gli amministratori di condominio. In un'economia complessa, è necessario che ciascuno faccia la propria parte. A Napoli, invece, quasi tutti aspettano che siano gli altri a fare. Bisogna guardare oltre i propri interessi, curando l'interesse generale. Questo significa sentirsi parte di una comunità, aiutarsi e soprattutto agire invece di aspettare e pretendere. C'è poca professionalità, ma anche grande spazio per crescere. Ecco perché dico che il Progetto Sirena andrebbe riproposto in modo diverso: non più come un incentivo economico, ma sotto forma di incentivi progettuali, informativi e organizzativi. Questa, oggi, è la strada da percorrere».

A proposito di strade da percorrere: le nostre sono dissestate e piene di buche e costano al Comune dieci milioni in risarcimenti. Intanto, mentre si consuma la querelle tra i templari dei sanpietrini e i sostenitori dell'asfalto, poco o nulla si muove. Perché?

«Nei centri storici non ci dovrebbero essere le macchine. Sono stati concepiti quando c'erano le carrozze, quindi bisogna rassegnarsi: si percorrono a piedi. Certo, occorre una rete di trasporto pubblico moderna ed efficiente, ma abbiamo la Stazione Centrale vicina all'ingresso del centro e la metropolitana arriva nelle principali piazze. Ci vuole più coraggio a pedonalizzare. Per le persone anziane, si possono prevedere piccoli mezzi elettrici pubblici ecologici e silenziosi che possono passare anche per Spaccanapoli. In questo modo, oltre a salvaguardare il centro storico, risolveremmo il problema dell'inquinamento e quello delle auto parcheggiate ovunque. Le strade di attraversamento, come Corso Amedeo di Savoia, Corso Vittorio Emanuele ed altre, invece vanno trattate diversamente. Nelle arterie principali, dove c'è un traffico intenso di mezzi anche pubblici e pesanti, servono semafori intelligenti e pavimentazioni fonoassorbenti pensate per evitare le vibrazioni, come si è fatto alla Riviera di Chiaia, che prima era pavimentata con cubetti di porfido».

Nel 2007, per il Grande progetto Unesco destinato al centro storico di Napoli furono stanziati 400 milioni, infine diventati 100. Ne sono stati spesi soltanto 15. Che cosa non ha funzionato? Quali sono state colpe e mancanze?

«Molto semplice: se non investiamo nelle amministrazioni pubbliche, non riusciremo a spendere i soldi dell'Unesco e ad attrarne altri, sollecitando i privati. Ogni intervento richiede una progettazione complessa per la realizzazione di gare d'appalto da gestire con la massima trasparenza e un controllo delle attività. Tutto questo richiede persone. Il coordinamento degli interventi sugli edifici pubblici tocca al Comune e alle Soprintendenze, che sono fortissimamente sottodimensionati. Se ci si limita alle ordinanze sindacali, è perché, a parte quelle finanziarie, mancano le risorse umane».

Adesso arrivano altri 90 milioni, stavolta si tratta di fondi Cipe, per il Rione Sanità: cambierà qualcosa?

«E poi ci sono gli 80 per gli Incurabili. Ma l'importante è avere la capacità di spenderli in qualità e in trasparenza. Serve un salto di qualità, e dobbiamo farlo tutti: l'impresa che ha vinto la gara per il rifacimento di via Marina, ha perso la certificazione Soa, il che ha costretto il Comune a rescindere il contratto. Così si perde altro tempo, cose del genere non devono accadere: per evitarlo, occorre un maggiore coordinamento».

A proposito degli Incurabili, un'altra immagine emblematica dell'abbandono che affligge il centro storico è il cedimento del pavimento nella cinquecentesca chiesa di Santa Maria del Popolo. Quel crollo farà suonare finalmente una sveglia sul fronte della tutela del patrimonio storico-artistico?

«Quel cedimento è un segno dell'abbandono, certamente. Da aprile di quest'anno, il commissario straordinario della Asl Napoli 1 Ciro Verdoliva mi ha affidato un incarico di supporto al Rup per la messa in sicurezza e il restauro del complesso: questo mi ha permesso di studiare in modo approfondito la situazione».

Allora, che cosa è successo?

«Quello degli Incurabili è un grande complesso composto da due diverse entità edilizie: la Farmacia dell'ospedale e il convento di Santa Maria delle Grazie, che fu aggregato nel 1830. Dunque, si mettono insieme più fattori: c'è la difficoltà di immaginare un moderno presidio di salute pubblica all'interno di un immobile antico. È complicato, ma anche più bello, e si può fare. Ci sono centri medici in Europa che svolgono attività in complessi antichi, dove la tecnologia convive con gli affreschi. L'abbandono, nel nostro caso, è nato dalla parte medica, che non è stata in grado di comprendere l'importanza e il valore del luogo all'interno del quale operava. A Santa Maria delle Grazie, per esempio, ci sono spettacolari affreschi risalenti al 1600, ma sono coperti dai cavi dell'impiantistica. C'è poca attenzione, poco orgoglio. Eppure quello è stato uno dei più importanti ospedali d'Europa, vi hanno operato grandi clinici. Il degrado è iniziato quando, negli anni '20, il Cardarelli ha tolto agli Incurabili il ruolo di primo ospedale della città ed è aumentato dagli anni '50 in poi, con l'avanzamento della tecnologia per la diagnostica per immagini».

Quali interventi sono necessari?

«Si tratta di un grande complesso del quale la Farmacia è un piccolo pezzo. Un gioiello perfettamente conservato, così come il convento di Santa Maria delle Grazie, altro pezzo degli Incurabili, nel quale si svolgono tuttora attività mediche. La Farmacia è l'elemento più esposto sul piano delle carenze e presenta un aggravamento del quadro fessurativo. Si procederà ad un intervento di restauro e di funzionalizzazione dell'intero complesso. La Regione ha stanziato 80 milioni per il restauro degli Incurabili con una duplice destinazione: quella museale e quella di un presidio di salute pubblica che è sempre stato lì e lì deve rimanere, essendo un riferimento per i cittadini della zona».

Intanto, nell'attesa che l'antica struttura venga messa in sicurezza, sarà Palazzo Reale ad ospitare le opere messe in salvo agli Incurabili. Come si procederà?

«Il crollo, che è di circa 20 metri quadri, riguarda il coro della chiesa di Santa Maria del Popolo. È un piccolo crollo, ma il quadro fessurativo è in evoluzione. Ora, dopo lo sgombero, è in corso il puntellamento. Tra l'altro serve anche una parziale ricostruzione, dunque si pone la domanda: come ricostruirla? Promuoveremo un concorso internazionale di progettazione: vinca il migliore, dobbiamo farlo con le migliori imprese».

Quando sarà pubblicato il bando?

«L'ipotesi avanzata dal commissario Verdoliva è l'autunno: i bandi devono essere preceduti da un corposo documento di indirizzo alla progettazione (Dip, ndr) che metta i partecipanti sullo stesso piano, fornendo tutte le informazioni necessarie. Prevediamo di pubblicare il bando di gara a fine settembre, poi serviranno almeno 120 giorni per fare il progetto. Nei primi mesi del 2020 dovremmo avere il progetto vincitore».

Insomma, gli Incurabili sono curabili?

«Certo, gli Incurabili sono curabili e saranno curati. Del resto nella medicina moderna molte malattie sono curabili: si tratta di individuare la cura giusta e di agire tempestivamente».