Rouet: «Con gli usi temporanei diamo un senso sociale agli edifici vuoti»

Il geografo urbano: «Costi folli e immobili abbandonati, un paradosso inaccettabile. Da noi le amministrazioni lo hanno capito»

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Se il punto di fuga è così sfocato che la prospettiva nemmeno s'intravede, può venire in soccorso la provvisorietà. Una scorciatoia che riscatta dalla condanna del tempo perduto luoghi il cui destino è sepolto sotto una montagna di splendide intenzioni. C'è chi, nel tentativo di arrotondare gli angoli di un'arma a doppio taglio, la chiama temporaneità. Perché il provvisorio è per sua natura malfermo, pencolante e a volte effimero. In compenso, però, il più delle volte è possibile. Ne sanno qualcosa in Francia, dove la sperimentazione delle occupazioni temporanee è diffusa già da diversi anni. E ne sa molto, in particolare, il geografo urbano Mathias Rouet, uno dei fondatori dello studio francese Plateau Urbain, che negli ultimi dieci anni ha lavorato molto sul tema, incrociando domanda e offerta di spazi in disuso. Il gruppo interdisciplinare composto da circa settanta tra architetti e urbanisti gestisce attualmente una ventina di progetti a Parigi, Bordeaux, Lione e Marsiglia.

Rouet, che è direttore degli studi e membro del consiglio di Plateau Urbain e insegna alla École nationale supérieure de la nature et du paysage, a Blois, nei mesi scorsi è stato a Napoli per illustrare l'innovativo lavoro del collettivo nel corso di una conferenza dal titolo «Usi temporanei e progetto di transizione: nuovi strumenti per una azione locale più misurata e più solidale». È lui, con Thomas Bourdaud, architetto del dipartimento di consulenza di Plateau Urbain chiamato a valutare la capacità degli edifici di essere riutilizzati per un tempo limitato, ad analizzare da un punto di vista di avanguardia, opportunità e rischi degli usi temporanei.

Professor Rouet, che cosa dobbiamo aspettarci dagli usi temporanei? Possono rappresentare una via d'uscita incompiutezza?

«Plateau Urbain è stato creato sulla spinta del forte desiderio di denunciare lo scandalo degli edifici inutilizzati in varie metropoli francesi in cui i costi degli immobili sono particolarmente alti. Questo è un paradosso. Gli usi temporanei rendono possibile il recupero di immobili e di siti da tempo vuoti per attuare un rinnovamento della città a partire da sé stessa. In termini quantitativi, non dobbiamo aspettarci che gli usi temporanei siano la soluzione al problema. Al contrario, le occupazioni provvisorie identificano e evidenziano questo scandalo. Ma al tempo stesso pongono questo problema nell'agenda dei governi locali e aprono strade per esplorare nuovi metodi di vivere la città. A questo proposito, vorrei tornare alle parole che usiamo oggi: "urbanistica temporanea" è un'espressione generica che include una nozione di durata limitata. A volte, quando annuncia ciò che deve venire ponendosi come un intercalare tra due progetti, è indicata come una possibilità transitoria. Altre, quando la sua durata è molto breve, è effimera. E viene definita "tattica" quando si applica a esperimenti nello spazio pubblico. Il modello degli usi temporanei può essere applicato a quartieri, progetti urbani o blocchi di città, a un edificio o a una piccola area di un terreno non edificato».

Quali risultati stanno producendo gli usi temporanei in Francia? Si può fare un primo bilancio?

«Dopo alcuni anni di pratica, principalmente dalla metà degli anni 2010, gli usi temporanei hanno dimostrato che è possibile trovare modelli alternativi e che i valori ad essi associati - economia frugale, programmazione aperta, inclusività, costruzione di un terreno comune, coinvolgimento degli utenti finali fin dall'inizio dei progetti - possono essere realizzati. Su larga scala, hanno grande visibilità e sono ben pubblicizzati esperimenti di occupazione temporanea come Les Grands Voisins a Parigi (2015-2020), che hanno dimostrato come sia possibile concretizzare progetti che vanno oltre il mercato immobiliare e le prassi urbanistiche convenzionali. La cosa interessante da notare è che mentre in un primo momento lo slancio è stato generato da nuovi gruppi e da nuovi attori spesso legati al mondo della cultura e del sociale e da settori del volontariato, oggi sono le amministrazioni locali a fare da traino. Il settore pubblico, soprattutto in città e in metropoli come Lille e Marsiglia, ha imparato a cogliere gli usi temporanei e l'urbanistica transitoria come strumenti al servizio dei progetti politici».

In che modo il paesaggio urbano può beneficiare delle occupazioni temporanee?

«Il rinnovamento della città su sé stessa può essere piuttosto violento e mal percepito dagli abitanti. È interessante il fatto di poter mobilitare anno dopo anno gli usi temporanei a sostegno della trasformazione di un quartiere, del suo aspetto, dei programmi e dei servizi che vengono sviluppati. Ma è importante anche l'immagine che le persone associano al posto in cui vivono. Gli usi temporanei possono cambiare il modo in cui guardiamo le cose, cambiando la fruizione di un edificio che ritenevamo obsoleto, ripristinando la fruibilità di spazi che pensavamo non interessassero, e così via. Per questo l'urbanistica transitoria è stata ripresa dall'Agence Nationale de Renouvellement Urbain, un'agenzia governativa responsabile del monitoraggio dei progetti urbanistici nelle aree di edilizia sociale, in particolare in quelle in cui le demolizioni sono frequenti e sconvolgono profondamente il paesaggio urbano. Si tratta di operazioni particolarmente sensibili in cui la transitorietà fornisce spazi per opportunità sociali e aiuta ad attutire e ad accompagnare il cambiamento».

Che cosa serve e che cosa bisogna evitare per far funzionare questo modello di gestione degli spazi pubblici e privati inutilizzati?

«Questi progetti sono virtuosi perché permettono di reinvestire su spazi che spesso si trovano nel cuore delle città con interventi piuttosto semplici. In questo modo si rafforzano le connessioni sociali nei quartieri. Le persone coinvolte in questi progetti - spesso associazioni, imprese dell'economia sociale o gruppi di residenti - non sono professionisti della progettazione, dunque hanno bisogno di certezze nella gestione dei progetti. Hanno bisogno che i proprietari si fidino di loro. Non è tanto una questione di soldi, quanto di un quadro giuridico con tempistiche stabili e regole chiare e definite. La trasparenza dei modelli economici sottostanti è essenziale, se si vuole che le varie parti interessate siano consapevoli dell'investimento che questi progetti rappresentano. Più in generale, al di là dei costi iniziali di investimento sui quali tendono a concentrarsi i vari attori, i costi di esercizio dell'attività (costi umani e spese relative agli oneri) sono quasi sistematicamente sottovalutati».

Lei ad aprile ha partecipato al Festival dell'architettura che si è tenuto a Napoli. Quali considerazioni e quali proposte sono emerse?

«Plateau Urbain è stato invitato a prendere parte a un progetto avviato dalla Facoltà di Architettura sui grandi edifici vuoti che scandiscono la metropoli napoletana. Questa situazione fa eco a quella di Parigi. A Napoli, come nella nostra capitale, ci sono di più di 4 milioni di metri quadrati liberi: un sacco di spazio per reinvestire e rinnovare! La grande differenza consiste nel mercato e nello stato di conservazione di queste proprietà sfitte. A Parigi i posti vuoti riguardano edifici per uffici, che sono generalmente in buono stato di conservazione, mentre a Napoli riguardano strutture caratteristiche e vecchie fabbriche. Da voi ci sono così tante proprietà libere in condizioni pessime che ci si chiede quali tipologie di immobili e quali situazioni siano più adatte per un'occupazione temporanea e per una pianificazione di successo. La chiave sta spesso nell'allineare gli interessi degli attori che appartengono a diverse parti del tessuto cittadino. È quello che abbiamo visto con gli studenti napoletani: abbiamo identificato e classificato diversi siti vacanti interpellando diversi gruppi di portatori di interesse: prima il Comune, poi i collettivi e infine gli sviluppatori e gli investitori. Possiamo ritenere che l'operazione possa funzionare se motiva almeno due di questi tre gruppi. La dimensione simbolica di un edificio è raramente un criterio decisivo in termini di facilità operativa con cui può essere avviato questo tipo di occupazione. Ovviamente, lo stato dell'edificio e la sua configurazione, il fatto che sia facilmente gestibile, sono fattori decisivi. Appare chiaro, inoltre, che è necessario un inventario delle proprietà sfitte, con un programma di recupero delle aree e degli immobili in ordine di priorità. È quello che si è fatto, ad esempio, nell'area metropolitana di Lille, che ha un numero enorme di proprietà sfitte. Lì è stata adottata una strategia di pianificazione urbana transitoria che copre tutti i 95 comuni. A Napoli abbiamo anche visitato lo straordinario Albergo dei poveri, dove l'approccio avviato con gli usi temporanei deve prendere slancio per diventare veramente transitorio, utilizzando il tempo come risorsa tattica per costruire il progetto definitivo. Una graduale riapertura del sito da parte di associazioni locali, collettivi e imprese sembra una metodologia promettente. Il bando per i progetti ha contribuito a dare impulso a questo processo. Penso che lo slancio dato dall'assessore Laura Lieto e dalla sua squadra vada nella giusta direzione. Forse mancano ancora gli elementi narrativi intorno alla strategia di utilizzo transitorio  affinché tutti capiscano che cosa sta succedendo in quel luogo».

Qual è il ruolo degli architetti e degli urbanisti e qual è il ruolo della politica in questo tipo di operazioni?

«Gli architetti possono analizzare lo stato di un edificio. Immaginano le operazioni necessarie per rimetterlo in uso (non per ristrutturarlo) e, naturalmente, programmano il lavoro da fare. In particolare, ci si aspetta da loro che trovino soluzioni intelligenti e fantasiose per restituire questi edifici alla collettività in completa sicurezza e al minor costo possibile, tenendo conto delle regole e della modularità degli spazi. La fattibilità complessiva dell'occupazione temporanea dipende dall'ingegnosità degli architetti. Il lavoro di messa in sicurezza degli edifici spesso pesa molto su progetti con un breve periodo di ritorno dell'investimento. L'impatto e la portata delle occupazioni temporanee aumentano quando queste fanno parte di una strategia urbana, sociale, economica e ambientale già ben definite e quando sono implementate al livello del quartiere o della città. Questi progetti sono particolarmente apprezzati sia dagli urbanisti che dai politici, in quanto possono essere completati a breve termine. Una cosa che raramente si verifica per la pianificazione urbana, in cui i progetti tradizionali spesso non richiedono meno di 5 anni per essere completati. A mio avviso, il ruolo degli urbanisti e degli architetti nella consulenza e nell'allestimento dei progetti è quello di definire il quadro di occupazione. Significa aiutare i rappresentanti del popolo a chiarire gli obiettivi associati a ciascun progetto. È essenziale che ciascuno degli attori coinvolti nel progetto di occupazione temporanea capisca che cosa accade durante il periodo di occupazione. È compito degli urbanisti lavorare con gli eletti per immaginare una narrazione coerente della trasformazione che si inserisca in un progetto di riabilitazione a lungo termine non solo per l'edificio ma per il rinnovamento del quartiere in cui esso si trova».

La riattivazione temporanea di spazi e/o edifici sottoutilizzati o inutilizzati può essere anche l'occasione per sperimentare ipotesi innovative e per verificarne l'efficacia?

«Quanti nuovi locali o spazi che non soddisfano la domanda non trovano né acquirenti né utenti? Non importa quanto esteticamente gradevoli siano, i nuovi sviluppi non troveranno sempre un loro pubblico senza una solida consulenza e senza un'analisi dei bisogni locali. Quindi perché non sperimentare gli usi transitori, anche se questo significa riadattare gli spazi, pur di non finire con progetti permanenti abbandonati? La sperimentazione nel contesto dell'occupazione temporanea è un approccio progettuale basato su interventi in situ che lascino spazio ad usi non pianificati. Per i proprietari che intraprendono un simile approccio, l'obiettivo è quello di verificare la pertinenza di forme, funzioni, modalità di gestione, finanziamento e di governo. Il ruolo della sperimentazione nella costruzione della città fa eco alle parole dell'architetto e sociologo tedesco Siegfried Kracauer, il quale disse che "il valore delle città si misura dal numero di posti che riservano all'improvvisazione"».

A suo avviso, esiste il rischio che quello che è definito come temporaneo possa diventare definitivo? Nel vostro Paese è successo?

«Spesso gli usi temporanei consentono di trovare utenti coerenti e appropriati per un edificio in disuso, risparmiando risorse. In un momento in cui il mondo dell'urbanistica e la competenza progettuale sono in crisi, dobbiamo porci una domanda: di cosa avremo bisogno tra 5 o 10 anni? Gli usi temporanei sono una buona boccata d'aria fresca nel mondo della progettazione. Queste fasi transitorie nella vita degli edifici dovrebbero essere viste come aree di sperimentazione, come laboratori. Da noi, il progetto quinquennale di occupazione dell'ospedale Saint Vincent de Paul, noto come "Les grands voisins" ("I grandi vicini"), in parte realizzato da Plateau Urbain, è ora giunto al termine. Tuttavia, il fatto di sperimentare diversi programmi, in particolare di carattere sociale, e di accogliere migliaia di visitatori, ha permesso al progetto permanente di evolversi. Di conseguenza, lo sviluppatore ha rivisto la sua valutazione in merito e i consiglieri comunali hanno accettato di modificare vari elementi emersi durante l'esperienza di occupazione. Il risultato è che due edifici non saranno demoliti e saranno parte del piano definitivo. Erano aree comuni dal forte valore simbolico, durante il periodo di occupazione. Nel quartiere verranno costruiti due centri di accoglienza e una pensione, metà della quale sarà destinata a residenze sociali. Cambia anche il programma delle attività e dei negozi: inizialmente, nel 2016, erano previsti 600 metri quadri, alla fine saranno 6.000. Questo progetto e gli altri in fase di sviluppo non solo dimostrano che il ricorso agli usi temporanei sta diventando sempre più comune in Francia, ma anche che questo incontra sempre più il favore dei cittadini e delle amministrazioni».