Tullio Pironti e Rosario Esposito La Rossa: «Decoro, trasporti e lavoro per cambiare il destino della città. E la borghesia smetta di voltarsi dall'altra parte»

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Se la vita è una guerra, in questi tempi confusi l'editoria è una delle sue battaglie più ardite. E allora, a ciascuno la sua trincea. Quella di Tullio Pironti, che in oltre quarant'anni ha dato alle stampe, tra gli altri, Bret Easton Ellis, Don DeLillo, Raymond Carver e Fernanda Pivano, coincide ancora con questo bancone con vista su piazza Dante. A 84 anni, il boxeur diventato prima libraio e poi editore, ogni mattina alza la saracinesca come fosse un sipario che si spalanca su un nuovo giorno. «Gioco in difesa, anche se non mi piace», sospira, i pensieri avvolti in una nuvola di fumo, l'ennesima sigaretta tra le dita e la camicia aperta contro l'assedio del caldo.

Rosario Esposito La Rossa, invece, la trincea l'ha stabilita undici anni fa nella sua Scampia, dove già combatteva una personale battaglia. Altri anni, altre lotte. Ma non meno avventurose. E dolorose: nel 2004, suo cugino, Antonio Landieri, fu ucciso per errore dalla camorra. Aveva appena 25 anni. Rosario ne aveva 22 quando, nel 2010, dopo aver pubblicato da scrittore, rilevò la casa editrice Marotta&Cafiero per traslocarla dalla nobile collina di Posillipo al quartiere simbolo del degrado. Una scommessa alla quale sono seguite altre, tutte vinte: in questi anni, infatti, Marotta&Cafiero ha pubblicato giganti come Stephen King e Daniel Pennac, Gunter Grass, Osvaldo Soriano e Raffale La Capria (il rimpianto più grande di Pironti, per ammissione e confessione dell'editore). Eccoli, il vecchio leone non ancora domo e il giovane valoroso, idealmente uno di fronte all'altro. Il cuore palpitante della Napoli decadente e la periferia delle periferie, smaniosa di rivincite. Tullio e Rosario: così lontani, così vicini.

Napoli ha scoperto i turisti, i turisti hanno scoperto Napoli. La sfida, adesso, al netto del virus, è uscire dalla gabbia del folklore per proiettare la città verso uno sviluppo sistemico. Come si fa questo salto di qualità?

Rosario: «Bisogna organizzare una galassia di servizi che al momento non ci sono. Sì, abbiamo la metropolitana più bella d'Europa, ma che ce ne facciamo, se fa corse ogni 12-17 minuti? E poi in questi anni c'è stato un proliferare di bed and breakfast, si è aperto un mondo di pizzetterie e paninoteche. È stato lasciato tutto al caso, mentre ci sarebbe bisogno di una regolamentazione. E ancora, si dovrebbero rendere fruibili una serie di siti importantissimi: penso al Museo di Capodimonte con il suo Bosco, che fino a poco fa era completamente tagliato fuori dai percorsi turistici, e alla Biblioteca Nazionale, dove si trovano i testi di Leopardi, ma che non compare negli itinerari. E ancora, la casa di Totò e quella di Caruso, le tante chiese chiuse e abbandonate».

Tullio: «Il turismo è importante per l'economia della città. I visitatori comprano, consumano, portano soldi. Ma Napoli è una città complicata da vivere ancora di più per il turista. Noi siamo abituati al caos, agli scippi, alla gente che vuole prevaricare, ma il forestiero queste cose non le sa e non le accetta. La prima cosa che dicono è: "A Napoli non torno più". Se è più colpa dei governanti o dei cittadini? Difficile rispondere. Di sicuro ci vorrebbero un maggiore controllo, una polizia più severa. Invece, dalla piccola trasgressione al borseggio su un mezzo pubblico c'è quasi una certezza di impunità. Oltre la repressione, poi, serve l'educazione. Bisogna fare il lavaggio cervello ai bambini sin dalle prime classi. È anche vero, però, che questi ragazzi non hanno un lavoro, quindi molti sono costretti anche contro loro volontà a delinquere. Certi napoletani insegnano ai loro figli a delinquere, a imbrogliare, a truffare. Ricordo una signora che, parlando del figlio che faceva gli scippi, diceva: "Quel povero ragazzo va avanti e indietro tutta la giornata su una Vespa". Ne parlava con commiserazione, lo considerava non solo normale, ma giusto. Ecco perché, se si vuole migliorare la città, bisogna educare prima di tutto i genitori».

Nella Napoli che verrà sarà possibile trovare un punto di equilibrio tra il lavoro, lo sviluppo, il benessere da una parte e l'identità, la storia, la cultura dall'altra? Come si fa a scansare la minaccia della gentrificazione e della «aperitivizzazione»?

Rosario: «Napoli è, come diceva Pasolini, l'ultima tribù d'Europa, la meno americanizzata. Tra le città europee, la nostra è una di quelle che hanno la storia e l'identità più forti, e riesce a miscelare questa identità con uno sguardo lungimirante. Questa commistione tra passato, presente e futuro sta nel dna dei napoletani. Credo molto nella capacità di distinguerci dal resto del mondo. Anche se la battaglia contro l'illegalità non è vinta, il fatto che in luoghi prima dediti allo spaccio, come la Sanita e Forcella, la gente abbia capito che è molto meglio lavorare onestamente, è incoraggiante. Di un regolamento comunale, però, c'è bisogno come il pane, perchè si è consegnata la città a una sorta di folle overbooking, con la conseguenza che San Biagio dei librai è diventata una grande paninoteca a cielo aperto. E bisogna correre ai ripari anche mettendo dei freni alla "cinesizzazione" di botteghe storiche che attualmente non sono tutelate. Penso alla Francia, dove le librerie godono di vantaggi fiscali. Invece qui da noi hanno fatto chiudere librerie, cinema, teatri e negozi di strumenti musicali. Il rischio è di ritrovarci una Venezia del Sud dove il centro muore quando non ci sono i turisti. Il vantaggio è che, rispetto ad altre città, qui il centro è abitato. Venezia, dove vado per il festival del cinema con mia moglie (l'attrice Maddalena Stornaiuolo, ndr), quando non ci sono i turisti, si spegne».

Tullio: «Napoli dovrebbe fondare il proprio sviluppo sul turismo, e meriterebbe un turismo di qualità, perché è una delle città più belle al mondo. Il turista sa che qui paga di meno una cosa che altrove paga di più: è una cosa negativa, ovviamente. Ma purtroppo questa città è rovinata dalla gente. È "un paradiso abitato da diavoli", come scrisse Benedetto Croce. Non siamo tutti diavoli, è chiaro: ci sono eccellenze straordinarie, ma scompaiono di fronte all'avanzata dei cattivi, che hanno l'alibi della disoccupazione, e allora lo Stato dia lavoro ai disperati e tolga loro questo alibi. Il reddito di cittadinanza? Non risolve niente. L'unico antidoto all'illegalità è il lavoro. Dal canto loro, i turisti sfidano la città. C'è sempre qualcuno che li sconsiglia di venire qui, ma ci vengono lo stesso. La prendono come una sfida, vengono con un senso d'avventura. Il turismo ha cambiato sicuramente il volto del centro storico, perché è un turismo di bassa lega. Quando viene a Napoli, un visitatore sa che questa è una città in difficoltà, quindi tira l'acqua al proprio mulino, specialmente se si trova nel centro storico. Perché a via dei Mille e a via Chiaia, dove la vita è almeno apparentemente diversa, cambia anche l'atteggiamento del turista. È naturale: se vai in un negozio elegante, ne subisci il fascino e ti adegui. Se entri in una bottega misera, un po' te ne approfitti. Però no, non temo che l'identità di Napoli sia a rischio. E poi, bisogna essere un po' fatalisti: se il mondo sta andando in una direzione, non possiamo pretendere di cambiarla».

Qual è il suo giudizio sulla qualità dei candidati in campo?

Rosario: «Credo sia una sfida di livello medio-alto. Manfredi è stato rettore e ministro, Maresca ha fatto un lavoro importante contro le mafie, Bassolino rappresenta la storia, e da sindaco ha già fatto un lavoro egregio, e Alessandra Clemente è una ragazza preparata. Nel complesso, è una sfida forse un po' troppo spostata a sinistra, ma il livello mi sembra buono».

Tullio: «Non mi sembra che ci siano grandi personaggi. Mi sembrano scelte di ripiego, mi auguravo qualcosa di più per una città importante come questa. Napoli avrebbe bisogno di un personaggio carismatico, un fac-simile di De Luca. Io sono amico di Bassolino, che da sindaco ha fatto già benissimo. Ma qui c'è bisogno di combattere, e non so se Antonio ha ancora l'energia per farlo. Ciò non toglie che lo voterò, fosse anche solo per una questione affettiva, nostalgica. Sono sempre un suo grande ammiratore, ed è ancora quello che mi convince di più. Non sarò certo da solo, ne sono convinto. Antonio è rimasto nel cuore delle persone, io dico che può vincere queste elezioni. Manfredi e Maresca dovranno fare i conti con lui».

Tra i grandi problemi insoluti c'è quello del decoro urbano, dal centro alle periferie: il progetto Sirena e i palazzi fatiscenti, la grave carenza di bagni pubblici, il verde spesso agonizzante. Ha fiducia nel fatto che si possa cambiare passo?

Rosario: «Mentre Manfredi può portare risorse, Maresca e Clemente hanno pochi contatti coi soldi che contano. In ogni caso, sono a favore di una privatizzazione dei servizi come la gestione del verde. L'ottava Municipalità, quella in cui ci troviamo, è la più verde della città, ma è in condizioni pietose. I due giardinieri comunali che sono andati in pensione non sono stati rimpiazzati, e quelli che sono rimasti non hanno strumenti adeguati per lavorare bene. Credo sia meglio affidarsi a terzi, a cooperative specializzate, come si fa a Londra e a Parigi. Nel Parco Corto Maltese, un'area verde di 20mila metri quadri, è previsto appena un taglio all'anno. Oggi l'associazione di volontari "Pollici verdi" ne fanno sei all'anno, e l'erba è comunque alta. Fino a quando si può andare avanti così? Questa è una città dove c'è una borghesia che dorme da tempo immemorabile, fa poco e vive sui propri allori. È più nobiltà che borghesia. Abbiamo anche aziende con fatturati importanti, ma fanno poco per la città. Cosa può fare il Comune? Una giunta, come accade negli Stati Uniti, guida il cambiamento, non ne è necessariamente protagonista. I progetti devono venire dalla gente, dalla comunità. Le istituzioni devono saper ascoltare e dare opportunità a chi merita. A Lello Serao, che gestisce il Teatro Area Nord di Piscinola, rinnovano il contratto ogni quattro o cinque anni: in condizioni così precarie, un privato come può sostenere un investimento da 400 mila euro? Il problema è che si lavora con interventi spot, ma intanto abbiamo fontane spente, chiese chiuse. A Port'Alba, per esempio, lo storico arco che da anni cade a pezzi, con un telone piazzato sotto per raccogliere i calcinacci che cadono, è il simbolo di una città in difficoltà. Bisogna decentrare, la macchina comunale è lentissima. Penso anche alle strutture sportive della nostra municipalità: ce ne sono tantissime vuote, che meritano di essere recuperate. Ma questo lo fai solo con un affidamento a lungo termine. Oggi il contratto prevede tre anni più altri tre eventuali. Ma chi si misura con un'avventura del genere col rischio che dopo tre anni cambia l'assessore e deve smettere? È una follia».

Tullio: «Se il nuovo sindaco avrà gli attributi per farlo me lo auguro. Decoro urbano, le condizioni delle strade, la raccolta dei rifiuti e l'igiene. Mi auguro che il nuovo sindaco avrà i coglioni per farlo. Ma è una lotta forte e non so se tutti sono abituati a lottare o quando arrivano sulla poltrona preferiscono scendere a patti, assecondare altre richieste».

Dal decoro urbano e dalla coesione sociale derivano anche i temi della legalità e della sicurezza. Come si fa ad includere nel progetto di una città i disoccupati, le famiglie monoreddito, i lavoratori senza tutele, gli immigrati, i senza fissa dimora? Non crede che sia necessaria una pax sociale per uscire dalla conflittualità e dalla diffidenza che separa la città borghese da quella proletaria?

Rosario: «Lo dico da imprenditore che lavora in periferia: l'inclusione passa dalla creazione di posti di lavoro. Il reddito di cittadinanza serve a tamponare, sì, ma dopo 18 mesi queste persone che fanno? Manca una visione politica e imprenditoriale che consenta di creare risorse e opportunità. Se la gente non ha soldi, non compra, e l'economia rallenta. E poi, come ho detto prima, Napoli paga lo scarso impegno e la scarsa generosità di chi sta bene. Questa città si divide in collina e pianura: chi vive sopra guarda gli altri dall'alto in basso, senza sporcarsi le mani».

Tullio: «Questa domanda racchiude tutti i problemi di Napoli. Non credo che sia possibile avvicinare borghesia e proletariato: chi ha raggiunto una certa posizione, se la difende a denti stretti. Per ridurre questa distanza c'è bisogno della buona volontà di un gruppo di persone che creda in un progetto di inclusione sociale e lo porti avanti con le istituzioni. Ma è un processo che richiede energie e tempo».

Per avvicinare ciò che il censo divide sarebbe utile un trasporto pubblico degno di una città europea.

Rosario: «Direi di sì. Se vogliamo essere capitale del Sud, i nostri modelli di riferimento devono essere Barcellona, Parigi, Londra. Prima dell'Olimpiade, le stradine del centro di Barcellona erano come i vicoli dei nostri Quartieri spagnoli. Oggi quei bassi sono boutique costose che attirano persone da tutto il mondo. Noi abbiamo il Festival di teatro più finanziato d'Italia, ma nessuno lo sa, mentre a Edimburgo quando c'è il Fringe la città impazzisce. L'evento coinvolge tanti ragazzi, si crea un movimento. Qui il Campania Teatro Festival fa spettacoli per pochi addetti ai lavori, e tutto resta confinato in quel recinto».

Tullio: «Quello del trasporto pubblico è un tema importantissimo. Se dai ad un cittadino la possibilità di muoversi tranquillamente, di raggiungere i posti senza grandi difficoltà, lo hai reso più libero. È un modo per avvicinare le persone, in tutti i sensi. Permettere ad un operaio di raggiungere il posto di lavoro senza doversi avviare due ore prima per fare dieci chilometri, sgravarlo di alcuni costi, ad esempio, significa molto».

Dovendo citare un successo e un fallimento dell'amministrazione uscente, che cosa le viene in mente? 

Rosario: «Sicuramente la valorizzazione e la pedonalizzazione del centro e del lungomare: una scelta che è stata iper-criticata e che oggi è chiaramente una battaglia vinta. De Magistris, che quando è stato eletto ha trovato i cumuli di spazzatura, ha portato in città eventi come la Coppa Davis, le regate preparatorie della Coppa America, l'Universiade. Il suo fallimento sono senza dubbio le periferie, da Scampia a Ponticelli. È questo il grande dramma della città. L'abbattimento della Vele verde viene da lontano, ed è comunque uno spot. Oggi la vita delle persone che abitano nei palazzi lì vicino è esattamente la stessa di prima».

Tullio: «Al di là di successi e dei fallimenti, de Magistris ha fatto quello che poteva fare. È molto capace, ma le difficoltà qui sono tante e forse non basta una sola persona. Ci vuole una squadra unita in nome di un obiettivo comune: quello di aiutare la città. Dobbiamo cercare tutti insieme di uscire da questa situazione complicata. Se mi guardo intorno, vedo che in questo posto che era l'anima culturale di Napoli hanno chiuso tutti i librai: Guida, Berisio, la libreria Alba. E quando elimini le librerie, elimini la parte che può cambiare in meglio la città. Dieci anni fa, sul piano culturale, Napoli era migliore. C'era più impegno civile, la cultura aveva un peso diverso. Oggi a fare il colto non vai da nessuna parte».

Quali sono le prime tre cose che chiederebbe al nuovo sindaco?

Rosario: «Prima di tutto, di partire dalle periferie: credo sia necessario, soprattutto considerato che parliamo tanto di Città metropolitana. Poi gli chiederei di lavorare sulla connessione tra le risorse: non si può fare turismo senza coinvolgere la cultura, i negozi, le attività economiche, i cittadini. Diversamente, rischi di aprire un teatro come il San Ferdinando, ma intorno nessuno se ne accorge. O addirittura ti ritrovi la gente contro, come è accaduto proprio per il San Ferdinando, dove i ragazzini si sono scagliati contro vetrine e lampioni. Infine, gli chiederei di restituire decoro al centro storico, iniziando dalla tutela di un luogo simbolo come Port'Alba».

Tullio: «Credo sia scontato cominciare con una richiesta di aiuto e di attenzione per le librerie. La seconda cosa che chiederei è un netto miglioramento dei servizi pubblici: trasporti, condizioni delle strade, il verde pubblico. Con la qualità dei servizi pubblici si misura il grado di civiltà di una città. Infine, vorrei che il sindaco avesse l'ambizione di restare nella storia di Napoli come uno buon sindaco. Quell'ambizione farebbe bene a tutti noi».