Va bene, Augias, non ci offendiamo. Ma dov'è la Città segreta?

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Il "talk" promosso da Nagorà - che si può rivedere sulla nostra pagina Facebook - con Valerio Caprara, Nino Daniele, Adolfo Scotto di Luzio e Alberto Sifola ha messo in evidenza posizioni diverse. Che però hanno in comune un interrogativo.

Metti un sabato sera da coprifuoco nell'Italia della pandemia e dell'infodemia, in una primavera che somiglia troppo all'inverno. Che cosa c'è di più rassicurante che un divano, una copertina e dei soffici cuscini sui quali accomodare un racconto leggero? Già, perché "Città segrete" ti dice di Napoli esattamente quello che già sai. Tutto già rivelato, proprio niente di «segreto».

Il problema, come spesso accade, è l'aspettativa. Dalla Rai, e ancor più da Corrado Augias, attendevamo qualche guizzo, se non perfino qualche rivelazione. Invece, come quei fuoriclasse un po' stanchi e un po' annoiati che dispensano senza sforzo gli ultimi bagliori del loro talento, lo scrittore ha dipinto Napoli con un tratto manieristico ben lontano da qualsiasi sforzo di originalità. Da un azzimato signore di 86 anni che ha ammesso di essere stato a Napoli negli ultimi tempi per appena due giorni non era lecito aspettarsi di più: due giorni per raccontare due millenni sembrano un po' pochi anche per il più abile dei narratori. Un sospetto che il risultato conferma: il programma firmato da Augias è la pennellata di un bravo pittore che dipinge con la mano sinistra, saccheggiando un po' il forziere dei tòpos più usurati – indugiando a lungo su Maradona e Cutolo - e un po' le Teche Rai.

Ne viene fuori un prodotto "pop" perfetto per il disimpegno da prima serata, confezionato con perizia tecnica sul piano del montaggio e della fotografia, ma sostanzialmente "seduto" sull'ampio sofà degli stereotipi. Insomma: la sagra del già visto, del già sentito, del trito e del ritrito. Più aderente al verosimile che al vero.

A pensarci bene, il vizio più grande del programma di Augias è il conformismo. Non la contumelia, ma la pigrizia di chi si conforma – appunto – alla banalità di un racconto raccontato mille volte. Un peccato magari non veniale, ma nemmeno capitale. E di certo non inedito. La tentazione, del resto, è dietro l'angolo: Napoli, volendo, è una città che si racconta comodamente. Ma la levata di scudi dei templari del Vesuvio, francamente, ha tutto il sapore della demagogia. 

«Difendo la città», cantavano i tifosi in curva quando le partite si potevano vedere dal vivo. E per difenderla, questa città, il Comune ha perfino istituito uno sportello. Retorica da stadio e da bandana: per difendere Napoli si dovrebbe cominciare a non offenderla.