Se Napoli fosse capitale di campioni e di diritto allo sport

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La designazione di Napoli a Capitale dello Sport 2026 è un avvenimento che segue una serie di fortunate manifestazioni che si sono svolte con successo nella nostra città.

L’irresistibile fascinazione dei grandi eventi, le regate eliminatorie della Coppa America, le Universiadi, la Coppa Davis, il Giro d’Italia, ha acceso i riflettori mettendo in rilievo le eccellenze sportive e il ruolo di alcuni grandi impianti che, tuttavia, spenti i riflettori, sono tornati nell’ombra.

Il caso del PalaDennerlein che dopo la breve stagione delle Universiadi è stato abbandonato e vandalizzato non è isolato. Da lungo tempo, invece, le rovine delle tribune di quello che fu il palazzetto Mario Argento, realizzato per i Giochi del Mediterraneo del 1963, offrono il desolante spettacolo che ricorda i resti archeologici di una antica cavea.

A poche decine di metri, il Palabarbuto denuncia nell’aspetto disadorno i caratteri ed i limiti di un impianto nato come temporaneo e poi entrato in quello stato che fluttua pericolosamente tra il definitivo ed il provvisorio. La presenza delle altre strutture realizzate per i Giochi del Mediterraneo del 1963, come la piscina Scandone, la prossimità della Scuola di Equitazione e degli Impianti del Coni, potrebbero costituire il presupposto per organizzare intorno alla spina centrale del Viale, che oggi conclude la sua prospettiva su un altro enigma dell’urbanistica napoletana, la ex base Nato, un polo sportivo ad Ovest della città, attrezzando le aree verdi libere con campi da gioco. Un polo in cui gli impianti siano i nodi di una rete di spazi pubblici aperti disegnati, convenientemente arredati e sistemati a verde. 

E questo mentre l’Amministrazione sta valutando la possibilità di realizzare, all’altro capo della città, nella zona Est, un Palazzetto dello Sport, nell’ambito del rilancio del comprensorio Centro Direzionale.

Questo può valere per gli ambiti più o meno periferici dove la presenza delle attrezzature esistenti e di aree libere consentono più agevoli margini di manovra.

In mezzo c’è il centro urbano dove la saturazione degli spazi costringe i campi da gioco in angusti spazi di risulta, lividi cortili o, persino, ad occupare il chiostro di uno dei più prestigiosi conventi: quello di San Domenico Maggiore. Campi da gioco insinuati tra i ruderi, a volte utilizzati come sversatoi d’immondizia, e oggetto di disputa tra i proprietari e i ragazzi. È la vicenda, per certi versi incredibile, di Largo Baracche nei Quartieri Spagnoli, che abbiamo documentato nel numero di Nagorà «Napoli Temporanea».

Nel centro urbano la scuola, con la sua diffusione puntuale dovrebbe farsi carico della pratica sportiva intesa come attività diffusa e come educazione ai valori dello sport. Ma l’insufficienza e l’inidoneità delle sedi rivela antiche carenze se è vero, come ricorda Gabriella Reale, che i 2/3 della popolazione scolastica meridionale frequentano scuole non dotate di palestra. E c’è ragione di credere che Napoli non contribuisca a migliorare di molto la media.

La scuola è il luogo che più di ogni altro si candida a far valere due diritti: quello all’istruzione e quello allo sport. L’associazione tra strutture scolastiche ed attività agonistica è, del resto, una tradizione consolidata in molti paesi europei che hanno una visione pedagogica dove non esiste separazione tra attività fisica ed intellettuale, e dove lo sport non è considerato, come spesso da noi, attività facoltativa o marginale ma piuttosto parte della sintesi di una concezione olistica dell’essere.

Nuoto e atletica sono gli sport di base nelle scuole francesi e inglesi che possono vantare attrezzature di grande qualità architettonica dove l’educazione fisica viene vista non solo come materia scolastica, ma come possibile preparazione ad una carriera agonistica.

La tradizione sportiva napoletana ha una sua articolata geografia con numerose eccellenze che vanno dal calcio, ai campioni dei blasonati circoli compresi tra le sponde di Posillipo ed il Molosiglio, a quelli emersi faticosamente dalle palestre di periferia.

Non si può che accogliere con soddisfazione l’investitura di Napoli a Capitale Europea dello Sport e attendere con fiducia l’esito delle tante iniziative annunciate, ma, allo stesso tempo, dovremmo augurarci che la nostra città si candidi ad essere una capitale del diritto allo sport anche mediante una profonda revisione della politica urbanistica che l’ha dominata negli ultimi trent’anni.