A Napoli, da est a ovest, il sole sorge e tramonta sullo scenario ancora incompiuto delle due grandi aree dismesse.
A occidente la città finisce bruscamente lungo la parete tufacea di Coroglio che da Posillipo cala sulla piana di Bagnoli, dove la liturgia drammatica dello spegnimento dell’altoforno concludeva, in un crepuscolo incandescente, la vicenda del grande centro siderurgico. E apriva “l’odissea di una trasformazione urbana” su cui si è polarizzato per decenni un dibattito che ha lasciato in penombra l’area dismessa all’altro capo della città.
Il margine orientale si snoda imprecisato lungo un territorio complesso che dalle pendici della collina di Poggioreale digrada verso il litorale di San Giovanni a Teduccio, passando per lembi di tessuto urbano, quartieri popolari, grattacieli del Centro Direzionale, ruderi e aree dismesse. Quelle che erano le paludi dove la città ha progressivamente espulso tutte le scorie e le attività incompatibili con il centro: dalle concerie seicentesche ai moderni depositi d’idrocarburi.
Se a occidente si stagliava perentorio il profilo dell’industria pesante, a oriente, si formava, per accumulazione, tra le maglie delle reti infrastrutturali, un paesaggio incontrollato di opifici, capannoni, aree di stoccaggio, silos, ciminiere, residenze disperse, serre e residui orti urbani. Ma a differenza di Bagnoli, che per estensione, limiti geografici e vocazione appare un ambito “confinato” in sé stesso, è nell’area orientale dove l’orlo della città si sfrangia in prossimità del continuum urbanizzato dell’entroterra che si apre il confronto con la condizione metropolitana evocata da Carlo De Luca.
Molti Piani Urbanistici Attuativi (PUA) elaborati per Napoli Est, sono, nel frattempo, decaduti essendo trascorsi i termini per le successive elaborazioni e la realizzazione delle opere. Piani scaduti ed opere irrealizzate anche a causa di un territorio che oppone oggettive difficoltà come la bonifica di aree particolarmente vaste. E un assetto idrogeologico caratterizzato dalla presenza degli alvei provenienti dal Somma - Vesuvio su cui sono intervenuti i Consorzi di Bonifica e che, oggi, scorrono in profondità mentre in superficie coltri di vegetazione ne rivelano le tracce frammentarie. L’equilibrio di questo assetto rende necessaria un’attenta ricognizione della circolazione idrica sotterranea per individuare le soluzioni tecniche più adeguate alla realizzazione delle opere infrastrutturali necessarie allo sviluppo dell’area.
Se l’urbanistica ha i suoi tempi dilatati, i “processi spontanei”, più volte evocati da Gennaro Biondi, hanno il dinamismo della comunità cinese che, con l’avvento della seconda generazione, ha trasferito i propri investimenti dall’acquisto di botteghe a quello di depositi per l’“e - commerce”. Investimenti dettati da una logica commerciale e di sostanziale conservazione dell’esistente che consolidano la vocazione logistica dell’area favorita dalla presenza dell’unico accesso autostradale della città. II grande nodo autostradale su cui grava tutto il traffico veicolare in entrata e uscita: un elemento critico da risolvere, soprattutto se inquadrato alla scala della Città Metropolitana.
L’area orientale non dovrà essere considerata, come in passato, deposito del materiale di risulta del centro o, in prospettiva, “riserva” di quella futura, ma il luogo dove la città storica dovrà andare incontro alla periferia. E ci pare che in questo spirito si sia espresso Ambrogio Prezioso, presidente di Est(ra)moenia, che ha alle spalle la riuscita esperienza di Brin 69. Un luogo di opportunità per la città ma, particolarmente, per le attese dei residenti che esprimono con passione il loro legittimo desiderio di coinvolgimento.
La periferia, con i suoi spazi in attesa, i suoi terrains vagues, ha caratteri propri, singolari, ricchi di suggestioni e potenzialità che si dovranno valorizzare, anche nella prospettiva del cambiamento. Per questo, occorre, come si sta facendo, rigenerare partendo dai capisaldi esistenti, dalle permanenze, dal tessuto urbano da riqualificare in connessione con la città consolidata.
Gli interventi in corso di elaborazione, come la Porta Est, si muovono all’interno di quello che possiamo considerare il centro della zona orientale: l’area di piazza Garibaldi ed il Centro Direzionale che l’Amministrazione considera il fulcro del rilancio. Al contempo, il recupero del fronte sud di S.Giovanni a Teduccio può già fondare sull’insediamento universitario e sull’attesa Marina di Vigliena intorno a cui dovrà formarsi il retroterra adeguato alle ricadute che la nautica da diporto ha sull’indotto. E proseguire, a nostro avviso, con un paziente e minuzioso lavoro di riqualificazione e ricucitura del tessuto urbano in direzione del Miglio d’Oro. Per l’area di Poggioreale a nord, si devono riprendere quei processi di trasformazione interrotti che creino verso il centro un intorno urbano in cui collocare gli interventi che, tra delocalizzazione d’impianti e bonifiche, richiederanno tempi prolungati.
Lo stato di degrado del costruito suggerisce un riesame, in senso meno rigido, della normativa che disciplina l’uso degli insediamenti di archeologia industriale, a volte in totale rovina, per favorirne il recupero secondo tempi e costi ragionevoli e l’inserimento nel ridisegno coerente di parti urbane. In particolare per i manufatti in cemento armato esposti al degrado e ad un ambiente particolarmente aggressivo.
Con la Variante di scopo, è necessaria, in vista del PUC, una riflessione attenta sulle norme del Piano vigente che, a vent’anni dall’approvazione, non è stato in grado di promuovere un’azione equilibrata tra due necessità altrettanto importanti per la città: la tutela e la trasformazione.
© Riccardo RosiSegretario InArch Campania