Usi transitori per la città contemporanea

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Il tempo non è un valore in sé, quando pensiamo alla modificazione dei luoghi. La capacità trasformativa di una città, di un territorio, si misura ormai prevalentemente con il tempo, perché allungando i tempi di programmazione/realizzazione i costi si modificano, le esigenze cambiano ma anche le scelte spesso si rimettono in discussione. 

In Italia è noto che un’opera pubblica si realizza almeno in dieci anni. Peggio se si tratta di un intervento più complesso di rigenerazione urbana, come ad esempio Bagnoli che, come altre (poche) aree in Italia, supera anche i trenta anni di attesa. Le cause sono molteplici e non staremo qui a elencarle. 

Ma questa condizione ha consolidato nel nostro paese l’affermazione di un tema correlato, quello dei cosiddetti usi transitori che solo da qualche anno, nel 2020, ha avuto un riconoscimento legislativo, introdotto come modifica all’art. 23 quater del DPR 380/2001 e successivamente ripreso dalla norma della Regione Campania con la legge 13 del 2022. Anche la città di Napoli, approvando con Deliberazione di Giunta Comunale n. 30 del 2022 uno “Schema di convenzione per la disciplina degli usi temporanei per gli spazi pubblici e gli immobili di proprietà pubblica” ha condiviso questo approccio. 

Un quadro normativo e procedurale che consente oggi di utilizzare provvisoriamente edifici o aree dismesse o abbandonate, con destinazioni diverse da quelle originarie o da quelle previste o programmate, in tutto o in parte. Significa che, in attesa della conclusione di un percorso, che sia l’attuazione di un programma o di una previsione urbanistica, o il completamento di un’opera, ma anche senza nessuna precisa previsione di riutilizzo, si può intanto optare per una scelta che possa consentire un uso diverso e temporaneo del bene, verificata l’eccessiva lunghezza dei tempi.  

È un modo per reagire in forma attiva alla condizione dei tempi lunghi, a volte infiniti, delle trasformazioni attese. Ma è anche una modalità nuova di vivere consapevolmente la città, di accogliere l’offerta di quei luoghi e spazi abbandonati che, mentre si decide il loro destino futuro, possono essere temporaneamente utilizzati in un modo diverso da quello programmato o progettato. Ma può anche rappresentare un modo nuovo di esplorare l’eventuale utilizzo di un bene pubblico, magari da tanti anni abbandonato come l’Albergo dei Poveri a Napoli, per il quale l’Amministrazione Comunale ha lanciato nel mese di novembre dello scorso anno una manifestazione d’interesse per definire, attraverso i proponenti, un catalogo degli usi possibili (anche molteplici) di un manufatto storico, particolarmente complesso, progettato da Ferdinando Fuga nella metà del XVIII secolo. 

In senso lato, si potrebbe considerare il tema degli usi transitori come un modo diverso di pensare la città contemporanea. Un approccio diversamente consapevole di riappropriarsi dei luoghi dismessi della città, spazi abbandonati, edifici che hanno ormai perso il carattere funzionale originario, cercando un nuovo modo di rimanere in vita e trasferire nuovi significati alle città dei prossimi anni, città in transizione capaci di accogliere nuove domande ma anche di suggerire possibili mutazioni e traiettorie del cambiamento.

Naturalmente devono cambiare in questo senso anche gli strumenti a disposizione dell’urbanistica e dell’architettura, discipline strutturate fino al secolo scorso sulle certezze del piano e del progetto, su un approccio razionale e sostanzialmente teorico di un pensiero moderno che non ha colto in tempo la necessità di misurarsi con i cambiamenti in arrivo. Progressivamente questo mondo è andato in crisi per diversi e più complessi motivi e, per la nostra riflessione, anche i tempi infiniti dell’attesa hanno contribuito a mutare uno scenario, quello della città del novecento che si conserva, come testimonianza di un passato recente, dietro e dentro di noi. Oggi abbiamo di fronte una città mutevole che riesce ad accogliere margini di cambiamento più ampi, perché flessibili, aperti e partecipati, che traccia una strada nuova, ma anche complessa e contraddittoria. È uno scenario di transizione, di passaggio verso una condizione diversa. Di una città che ancora non è, che reclama una svolta e lo fa anche cercando nuovi paradigmi, anche se ancora non ben definiti.

Detto tutto questo, bisogna però anche ricordare che gli usi temporanei non possono rappresentare, specie per l’urbanistica, una possibile alternativa all’ordinaria attività di pianificazione che, per una città come Napoli, con l’esigenza ormai ventennale di una nuova visione urbanistica della città, potrebbero in qualche modo procrastinare ulteriormente l’avvio delle procedure per il nuovo piano, davvero non più rinviabile. Attribuire invece all’azione degli usi temporanei un valore per così dire introduttivo, complementare alla definizione di una più generale strategia urbanistica, potrebbe essere una scelta intelligente come premessa, partecipata e condivisa, ad un inizio del percorso di pianificazione che tutti ormai auspichiamo.

Nelle settimane scorse si è svolto in Campania il Festival di Architettura Campania Architettura 2023_territori plurali. Il Festival, organizzato dalla Regione Campania e promosso dal Ministero della Cultura è stato strutturato in sei Living Lab, distribuiti sul territorio regionale. Uno dei Living Lab, quello di Napoli, è stato dedicato proprio al tema degli usi transitori, sperimentando un approccio progettuale su alcuni contenitori dismessi della città, ognuno in qualche modo portatore di specifiche dinamiche urbane, come l’ex fabbrica Corradini, il Mercato Ittico, lo stesso Albergo dei Poveri o anche altri immobili più recentemente dismessi, come un edificio di Michele Cennamo a via Nuova Poggioreale, espressione del secondo novecento architettonico napoletano, che testimoniano della presenza di un enorme patrimonio immobiliare dismesso e che “appaiono nella città densa come risorse irrinunciabili per attivare processi di rigenerazione urbana, sperimentando possibili nuove forme dell’abitare che siano da una parte compatibili con le vocazioni spaziali degli immobili e dall’altra rispondenti il più possibile alle diverse culture della città in continuo movimento”. Definiti come “metricubi in attesa”, sono edifici che possono essere “riprogrammati” ricercando il punto di equilibrio tra la loro identità originaria e la necessità di riabitarli e reimmetterli nella vita attiva della città, anche attraverso processi, necessari, di sperimentazione progettuale e ibridazione funzionale. 

È il tema, sotteso ma più generale, della rigenerazione urbana che, per uscire da una declaratoria più generale spesso astratta, richiede maggiori sperimentazioni sul campo, sul corpo vivo della città. Una sperimentazione che è stata svolta anche confrontandosi con altre realtà europee, dove il tema degli usi transitori assume un valore diverso, percepito come più maturo e consapevole, espressione forse di una consolidata identità urbana e sociale. In Francia, ad esempio, gli usi transitori rappresentano ormai una realtà strutturata, con soggetti associati a carattere cooperativo che, in ambito sostanzialmente privato, mettono insieme domanda (di spazi) e offerta (di edifici dismessi). Basta questo per rivitalizzare, non solo a Parigi, interi quartieri della città con nuove funzioni e aggregazioni. Non è solo un modo per riutilizzare luoghi abbandonati, ma è la dimostrazione che esiste ed è strutturata una nuova domanda, che esprime una nuova cultura dell’abitare, del lavoro, del tempo libero, ma anche un modo diverso di gestire, dal basso, la condizione urbana contemporanea. Ma anche con la consapevolezza che qui, gli usi temporanei non potranno mai diventare permanenti. 

Photo credits: Mario Ferrara