I lavoratori della notte napoletana

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Quando il sole saluta il golfo di Napoli la città “dei mille colori” assume tutte le sfumature del grigio che ridisegnano funzioni economiche e comportamenti sociali come in un teatro dove i protagonisti lasciano il posto a controfigure spesso equivoche ed irriconoscibili che a loro volta abbandonano il palcoscenico ai primi sussulti dell’alba.

Molto si racconta della spavalderia della “gioventù bruciata” o della prevaricazione della criminalità minorile; forse meno dell’economia notturna che pur configurandosi nei classici tre circuiti sui quali ci siamo spesso soffermati (reale, informale e criminale) presenta un profondo cambiamento dei suoi attori protagonisti che va anche oltre il famoso gruppo dei “lavoratori della notte” fondati nel 1900 da Alexandre Jacob ( “il ladro gentiluomo”) che rubava ai ricchi “per vendicare  quelli che vivono al freddo, nella fame e nel dolore”.  Al romanticismo letterario dell’inizio del secolo si è sostituito nel caso napoletano il pragmatismo della contemporaneità espresso da un cinismo spesso senza limiti.

Con riferimento all’economia reale lo sciame notturno di caschi gialli dalla zona industriale occidentale e delle tute blu di Napoli Est verso le fermate dei tram e bus (della famosa “corsa operaia”) per rientrare a fine turno nelle loro case resta un’immagine confinata agli anni Settanta. Ai nostri giorni la notte napoletana si affolla, da una parte, di addetti ai servizi pubblici (sanità, trasporti, ordine pubblico) e, dall’altra, di tanti operatori precari impegnati in produzioni informali (laboratori del “falso” per esempio) o in attività illegali (contrabbando, stupefacenti, prostituzione). Ed ai turisti che affollano di giorno anche le “periferie sociali” della città si sostituiscono avventori in cerca di equivoche e pericolose emozioni.

Alla serena dignità inscritta sui volti degli operai si è sostituita una diffusa espressione di solitudine e preoccupazione: prevale un silenzio che fa paura, il che denuncia in sostanza la nostra incapacità di cambiare nel cambiamento.  Il tutto favorito dal buio della notte in cui la presenza della criminalità organizzata fa troppo spesso la parte del datore di lavoro e di garante di una sicurezza che molti soggetti subiscono a caro prezzo.

Il punto più grave di questo complesso mondo del lavoro notturno sta nel fatto che il trasferimento soprattutto dei più giovani dal lavoro reale a quello informale e poi al mondo criminale risulta in costante crescita o per il bisogno dei disperati o per l’ambizione dell’arricchimento rapido e senza sacrificio.

Come riaccendere le luci anche sui lavoratori della notte? Per contrastare la diffusa sensazione di una marginalizzazione di tipo deterministico resta fondamentale il richiamo dall’esilio del significato della comunità e la creazione di luoghi in cui i problemi privati si possano socializzare e la ricerca del protagonismo soggettivo si annulli nell’agorà: ovvero in spazi in cui si assuma il lavoro come valore assoluto del “bene comune”.