Quanto è buia la notte di Napoli

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Nella città del sole, quando il giorno si spegne, a prendere il comando è l'ammiraglio Buio. Così, all'ora del vespro, anche i tesori d'arte scompaiono sotto un manto nero. Dal Plebiscito al Duomo, da Villa Pignatelli ai Decumani, un filo scuro unisce i monumenti in un itinerario dell'astratto che si limita a delineare i contorni. Tutto il resto bisogna immaginarlo. Bella, Napoli: se solo si potesse vedere.

È inghiottita dall'ombra la piazza delle piazze: certo, in mezzo al Plebiscito i lampioni sono accesi, ma le statue equestri di Carlo III di Borbone e Ferdinando I delle Due Sicilie svaniscono in un oblio notturno. I riflettori graziano soltanto i sovrani restaurati (nessun sussulto monarchico, tranquilli: in senso architettonico) che dall'alto delle loro nicchie vegliano fieri la piazza. È spento soprattutto Palazzo Reale, forse a marcare il segno di una nobiltà decaduta. Nella sera napoletana, per fortuna scintillano i due castelli affacciati sul Golfo: il Maschio Angioino e il Castel dell'Ovo sono ben riconoscibili anche da lontano. Ma basta spingersi appena più in là, oltre la Galleria Laziale, per ripiombare nell'oscurità.

In piazza Vittoria le statue di Giovanni Nicotera e Nicola Amore si notano a stento, e sull'eterno cantiere della Villa Comunale è da tempo buio pesto, fuori e dentro la metafora: i viali alberati sono preda di una nuttata che cancella tutto, sogni di gloria inclusi. Dall'altra parte della Riviera, i giardini di Villa Pignatelli sono una macchia nera, e del bronzeo re Umberto I di Savoia, che si staglia su un basamento in via Nazario Sauro, non si può certo dire che sia «illuminato». Ma poco illuminati devono essere pure certi amministratori che calano un sipario lugubre sulla Grande bellezza. Su quel patrimonio che la storia le ha lasciato in dote la città vorrebbe puntare tutte le sue fiches. Su quei monumenti fatti sparire per dieci, dodici ore al giorno - e che una nuova luce potrebbe rendere addirittura più fulgidi - si propone di edificare la sua riscossa.

Eppure, invece di mostrarli, li nasconde. Dopo il tramonto, Napoli è un regno delle tenebre. Per entrarci basta infilare via Tribunali: una passeggiata ai Decumani è un tuffo nella penombra, un'avventura caravaggesca in cui i volti sono maschere che emergono dal buio. Dall'inquietante nulla sbucano anche i motorini che sfrecciano tra i passanti: sguazzano nell'anarchia della notte partenopea con sprezzo delle regole e dei sensi di marcia, tutelati dal buio e dall'impunità. Gli unici fari accesi, nelle viscere della città spettrale, sono gli obelischi: aculei di pietra che bucano il cielo svettando al centro di piazze tetre, a San Domenico e al Gesù. È un bagliore che vive di luce riflessa, al contrario, quello del Nilo: il candido dio adagiato a due metri da terra nel bel mezzo del "Corpo di Napoli" è un lampo inatteso nel dedalo brulicante del centro storico. Così come Cappella Sansevero, felice (e privata) eccezione tra le tante chiese, splendide e insieme cupe, della città antica.

Ma la questione non è solo estetica. Dove si ammaina la bellezza, si sa, prende il largo il degrado. E col favore delle tenebre conquista spazio l'inciviltà. Anche per questo, da piazza Dante a piazza Bellini, fino a San Domenico e Mezzocannone, bottiglie e cartacce sono un corollario immancabile nelle notti di questa Napoli che starebbe a pieno titolo tra le «Città invisibili» di Calvino. Risalendo verso il Vomero, a piazza Mazzini incontri la statua del giurista e patriota Paolo Emilio Imbriani. Nel 1870 qui fu sindaco: troppo poco, a quanto pare, per meritare una luce. Fortuna che da lassù, come un faro posato sul promontorio, brilla la Certosa di San Martino. Luci a Sant'Elmo, ma non bastano a consolarsi. Scendendo di nuovo verso il mare, incontri il Duomo, testimonianza gotica che si staglia imponente tra la Stazione e Spaccanapoli. Lì di fronte, le luci posate sui ponteggi davanti alla chiesa dei Girolamini non bastano a rendergli giustizia: la parte alta della facciata scompare completamente nel cielo nero. È illuminato, a proposito di Caravaggio, il vicino Pio Monte della Misericordia, che del Merisi custodisce le Sette opere di misericordia. Ma anche quest'altra eccezione è merito di un privato. Per non dire di Castel Capuano, fortezza di origine normanna già sede del Tribunale, precipitata nell'abisso di una dimenticanza che è due volte colpevole. Restituire – in tutti i sensi - uno dei castelli più antichi di Napoli all'antico splendore sarebbe doveroso non solo per il valore del monumento, ma anche perchè a Forcella le luci non sono mai abbastanza. Te ne accorgi avanzando il passo nel quartiere: in via Egiziaca, le fontane della Scapigliata e del Capone sono invisibili. Così come il famoso "cippo", ma forse non è un male: i resti della cinta muraria dell'antica Neapolis sono ridotti da tempo a vergognoso ricettacolo di immondizia. E dire che per il centro storico di Napoli negli anni 2000 la ditta Maioli, in collaborazione con la società Sole (sic!) del Gruppo Enel, aveva realizzato su commissione dell'allora sindaco Bassolino, che accese sull'intrico dei Quartieri spagnoli i lampioni ben prima che si accendessero i riflettori, un impianto integrato basato su un esclusivo controller automatico, il Digilux Vm 3000, installato a Palazzo San Giacomo. Un congegno avveniristico capace di gestire a distanza illuminazione, suoni e immagini grazie ad un sistema di fibre ottiche. Qualcuno un bel giorno - o magari una notte - deve aver staccato la spina.