Dalla parte dei giovani

di

Cosa porterà l’autunno? La pandemia ha ucciso in Italia molte migliaia di anziani, coloro che avevano un sistema immunitario fragile, i cardiopatici, gli ipertesi, i diabetici. Ed è ragionevole che le politiche pubbliche cerchino oggi di proteggere queste fasce di popolazione. Di proteggerle anche dai giovani, che spesso sono asintomatici ma contagiosi e spesso sono i meno ligi alle restrizioni. La nostra cultura rifiuta l’idea della morte, anche la morte degli anziani. Ma attenzione. La sacrosanta crociata contro il virus non può neppure dimenticare quei giovani, il loro futuro, cioè il futuro del Paese.

Stiamo sperimentando il ritorno dell’epidemia. Con ogni evidenza il Covid è ancora tra noi, sebbene, grazie ai protocolli terapeutici, ai nuovi reparti dedicati, alla presenza più attiva dei medici di base, i contagiati finiscano assai meno nelle terapie intensive e il decorso sia raramente mortale. Ma la gente ha paura (talvolta, si direbbe, è spinta ad aver paura dagli stessi governanti, che notoriamente ne ricavano consenso). Ha paura e chiede politiche di emergenza. 

Le politiche di emergenza, però, costano molto. Anzi, moltissimo. Limitano le libertà personali, mortificano le procedure democratiche, assestano colpi feroci al sistema produttivo, squilibrano il rapporto fra stato e mercato. Stanno modificando il nostro modo di vita. E non soltanto. Se il Covid ha infierito sugli anziani e ha risparmiato i giovani, le politiche di emergenza rischiano di fare l’opposto. I giovani appaiono le vittime predestinate dell’esplosione di un debito pubblico di cui dovranno farsi carico in futuro. Assistono a una redistribuzione di risorse tutta rivolta alle classi d’età superiori, piccole e grandi imprese, proprietari di immobili, cassintegrati, pensionati, disoccupati. Loro, i giovani, avrebbero bisogno di un ambizioso progetto sulla scolarizzazione, la prima occupazione, la mobilità, le startup. Avrebbero bisogno di un corposo investimento sulla ricerca e le università. E invece rischiano di essere decapitati dall’incrudirsi di un arcipelago corporativo-clientelare (spesso di natura politica) il quale distorce il mercato del lavoro, mortifica il merito e premia l’anzianità.

Ora più che mai, d’altronde, l’agenda politica è costruita sulla base degli interessi immediati degli elettori e, come si sa, i giovani e i giovanissimi sono per lo più estranei al dibattito pubblico, non hanno partiti di riferimento, spesso non vanno neppure a votare. Né scendono in piazza da decenni. In una parola, sono politicamente irrilevanti. Sono i fantasmi della vita pubblica. Di loro i governanti sembrano accorgersi -con grande scandalo- soltanto se affollano le strade della movida. Invece dovrebbero farne il perno della “ripartenza”. Di un autunno di ottimismo e non di paura.