Se la musica spiega le vele alla città

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Le architetture per la musica svolgono un ruolo sempre più determinante nei processi di trasformazione della città contemporanea. A volte definiscono persino l’identità di un luogo. 

Sidney ha trovato un’immagine immediatamente riconoscibile di sé stessa dopo la realizzazione dell’Opera House. Bruno Zevi scrisse, riferendosi alle coperture a guscio disegnate dall’architetto danese Jorn Utzon che si riflettevano sulla superficie dell’acqua, “Utzon sferra vele sulla baia”. E, in effetti, le superfici a doppia curvatura, le vele, a partire dagli anni ’50 hanno spinto metaforicamente i complessi culturali a raggiungere i loro ancoraggi urbani.

Nella Berlino del Muro, la Philarmonie completata da Hans Scharoun nel 1963, si elevò rapidamente a modello internazionale per la rivoluzionaria configurazione spaziale della sala da concerti. La platea, disposta secondo un andamento a “spezzata” circonda da tutti i lati il golfo mistico e declina progressivamente, a gradoni, verso l’orchestra. Lo spettatore, a seconda della collocazione, vive di volta in volta un’esperienza inedita che varia con il punto di vista. Non più testimone inerte di uno stanco rituale ma protagonista immerso in un’esperienza sensoriale coinvolgente grazie all’acustica perfettamente calibrata.

Ma è a Parigi che la musica rivela il suo potere propulsivo nelle dinamiche di trasformazione delle aree dismesse. 

La prima esperienza risale agli anni ’90, quando, nell’ambito periferico de La Villette, durante la riconversione di un’area di 35 ettari precedentemente occupata dal mattatoio della città, s’insediano, all’interno del parco, residenze, complessi culturali come la Cité des sciences et de l’industrie e, in particolare, la Cité de la Musique che ospita il Conservatoire National Supérieur de Musique et de Danse de Paris, una sala da concerti di 1200 posti, e il Musée de la Musique, che custodisce circa 4500 strumenti dal XVI secolo ai giorni nostri.

La seconda esperienza prende le mosse circa quindici anni fa a Boulogne-Billancourt, territorio dominato dalla presenza di uno dei maggiori impianti produttivi della Renault dismesso nel 1992 e demolito nel 2000. Nel 2017 l’architetto giapponese Shigeru Ban ha completato nell’île Seguin, sul sedime degli impianti dismessi, una parte del più complesso programma della Seine Musicale: un primo gruppo di edifici che ospita sale da concerto, sale prova, un centro congressi ed un ristorante con terrazza panoramica.

Nei primi anni 2000 sono Oporto e Roma a dotarsi di due grandi strutture per la musica.

La città portoghese decide di collocare in prossimità del suo centro storico dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco una Casa della Musica, opera di Rem Koohlaas che, oltre alle due sale da concerti per la musica sinfonica e per il jazz, prevede un ristorante che si apre su un’ampia terrazza ed altre attrezzature collettive. Una sorta di masso sbozzato a colpi di scalpello che non tende la mano al contesto circostante dove si colloca come un oggetto reduce da un misterioso atterraggio. Suggestione evocata nella scalinata d’accesso che riecheggia deliberatamente quella dell’astronave aliena nell’epilogo di Incontri ravvicinati del terzo tipo.

A Roma, Renzo Piano realizza su un’area di circa 55.000 mq il Parco della Musica che nel 2012 ha superato il milione di visitatori, affermandosi come il primo complesso culturale europeo per numero di ospiti. Tre sale da concerto di diverse dimensioni si dispongono a raggiera intorno ad una cavea per spettacoli all’aperto che può accogliere 3000 spettatori.

Tra le esperienze più recenti e suggestive c’è l’Elbphilarmonie di Herzog & De Meuron che si staglia nitidamente sullo sfondo del porto di Amburgo. Dallo scabro, “arcigno” basamento in laterizi di un magazzino portuale recuperato, spicca una grande vela traslucida, che fa da involucro alle varie funzioni. Oltre, naturalmente, alla grande sala da concerti, l’imponente edificio ospita una scuola di musica, un centro benessere, un hotel, residenze ed una piazza coperta che guarda verso lo skyline della città a cui si accede da una vertiginosa scala mobile.

Tutte queste esperienze mescolano funzioni culturali e produttive, senza l’oppressione della pruderie che, nel nostro paese, ostacola ogni contaminazione di questo tipo.

Nel 2004 è stata creata la Rete delle Città Creative dell’Unesco che promuove la cooperazione tra le città che hanno identificato la creatività come elemento strategico per lo sviluppo urbano sostenibile, divisa in sette aree corrispondenti ad altrettanti settori culturali: Musica, Letteratura, Artigianato e Arte Popolare, Design, Media Arts, Gastronomia, Cinema.

La città creative in Italia sono 13. Per la musica: Bologna (2006) e Pesaro (2017).

Napoli ha nella musica una “materia prima” di eccellenza mondiale, per riprendere la felice espressione di Maria D’Ambrosio. Occorre valorizzarla e, sull’esempio di quanto si sperimenta altrove, creare strutture e lavoro per trasformarla in ricchezza per la nostra comunità.