Napoli, un anno dopo

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Da un anno Napoli è una città felice, si è realizzato nientemeno l’autogoverno del popolo, è il popolo che decide e governa. Per la prima volta nella storia moderna, dopo qualche esperienza fallita, che peraltro ha causato milioni di morti e a Napoli nanche un ferito, si è realizzato il principio di Rousseau. Esiste, sì, non si nega, una volontà generale, ma questa volontà generale sei tu stesso, non c’è distanza come avviene nelle situazioni patologiche, e la vedi, questa volontà, camminando per le strade festose della città aperta a ripetuti pizza-festival, dove si costruiscono “alberi” di acciaio alti 40 metri per il tripudio dei turisti, e questa visibiltà è, ben s’intende, un momento dell’autogoverno che, neanche a dirlo, è trasparente. Autogoverno significa che ognuno fa quel che vuole, dai posteggiatori abusivi ai bottegai, ma con gioia, e l‘autogoverno compare dappertutto perché la volontà generale sta in ognuno di noi. Sta nell’occupazione degli spazi pubblici con tavolini dove in prevalenza si mangia e si beve, ostacolando il percorso degli astemi; sta nella possibilità per la paranza dei bambini di sparare contro una caserma dei carabinieri, o contro la finestra di un vicolo; un pezzo di autogoverno sta nelle mille movide festanti in crescita esponenziale, cui si oppone solo un piccolo gruppo di resistenti anacronisticie tendenzialmente cattivi. Una città felice, l’avanguardia mondiale di una nuova era. Qualche falla c’è, come avviene sempre nell’opera dell’uomo, si pagano ancora le tasse, anzi stranamente sono tra le più care d’Italia. Ma il corrispettivo dell’autogoverno è talmente grande che anche le tasse si pagano con gioia e forse perciò sono le più care.

Poi c’è un’altra, sparuta e residuale Napoli, un po’ meno felice, assillata da record di disoccupazione, dal rovescio dell’autogoverno che è, in linguaggio arcaico, assoluta mancanza di governo, per cui anche lo straordinario flusso di turisti (che invadono tutto il Sud, perfino a Bari non si circola, per evidente mancanza di alternative in largo senso africane) si risolve in un tripudio di residui e resti di ogni natura per cui alcuni residenti, senza poterlo dire, non sono proprio felici. Questa città sparuta e residuale vorrebbe sapere qualcosa del proprio destino quando la volontà generale tornerà a staccarsi da ognuno di noi, ma a chi lo chiedi se non a te stesso se sei un pezzo dell’autogoverno? Un circolo vizioso dove il capo si morde la coda. Una via per ora senza uscita.