È la scienza che dovrà risolvere un problema che non possiamo che augurarci transitorio.
Nel frattempo, l'urbanistica igienica dei tempi eroici, quella del sole che penetra nelle case distruggendo il bacillo di Koch responsabile della tubercolosi ha avuto la sua piccola rivalsa. Ma si è anche fatalmente riaffermata l’antica convinzione della modernità di rifare il mondo. E creativi famelici di visibilità, lo hanno rifatto il mondo, sul modulo del distanziamento sociale, creando un panorama molto variegato.
Da una parte, un campionario vagamente inquietante di schermi, griglie, diaframmi e distanziatori.
Dall’altra, senza fare torto a Saba, un paesaggio sognante di “cose leggere e vaganti”: piattaforme marine, terrazze urbane, velari balneari. Proposte vaghe e disimpegnate che, probabilmente, non resisterebbero a verifiche tecniche ed approfondimenti.
Eppure, persino nell’era dei social, dominata dalla fretta indecorosa di comunicare per esistere, ritornano alcune idee che hanno una validità indipendente da questa congiuntura.
L’Eterno Ritorno dell’appello per un Piano per l’Edilizia Residenziale Pubblica sul modello dei due settenni delI’Ina Casa di Fanfani. Ma che quest’appello non diventi un’eco lontana che riecheggia nelle valli dell’Appennino funestate dal terremoto dove ancora si attende.
Da più parti s’invocano abitazioni dotate di spazi adeguati alle nuove esigenze di lavorare e studiare da remoto. Una condizione, quella dello smart working, peraltro non nuova e destinata alle categorie protette, che alcuni vorrebbero rendere permanente. Con tutte le ricadute in fatto di sedentarietà, incomunicabilità, ristagno dell’economia ed emersione di latenti conflitti familiari. Da prendere con moderazione e dietro presentazione di ricetta medica e da considerare, auspicabilmente, transitoria. D’altra parte, se le famiglie non avessero avuto già negli anni scorsi necessità di spazi più ampi, giusto qualche metro quadrato di standard ed un posto auto, il tutto a basso costo, Giugliano non sarebbe diventata la terza città della Campania. Le nuove residenze dovrebbero ispirarsi all’archetipo della casa mediterranea, con spazi aperti, logge e terrazze, per vivere all’aperto alcuni mesi all’anno. È tempo di abbandonare le tipologie edilizie nord europee, i duplex, il soggiorno-con-angolo-cottura, le cucine di Francoforte, gli spazi asfittici tanto cari a figli e nipoti dell’existenzminimum e che tanto successo hanno riscosso, ad esempio, in ambito accademico.
Come ripensare questi spazi è il vero dilemma. Aumentare la superficie delle stanze da letto per consentire a tutti i membri della famiglia di comunicare in riservatezza? Aggiungere un vano in più? Nuovi spazi da configurare? Rivedere radicalmente il concetto di abitare? Cambiamenti transitori o permanenti? E in sintonia con i tempi dell’edilizia?
Attenzione, nel frattempo, a non buttare via le conquiste spaziali della modernità che ha spazzato via la penombra malinconica delle vecchie case aprendole all’aria e alla luce.
Come potrà, tutto questo, non riflettersi su alcuni Piani Urbanistici, pensiamo alla Variante Generale di Napoli, dominati dall’idea del riuso pressocché integrale del patrimonio edilizio della città storica? Patrimonio edilizio nato, in molti casi, secoli fa e già allora, in larga parte, inadeguato e destinato ad offrire ai residenti condizioni di vita indecorose ed incivili.
Da più parti s’invoca: occorre ridisegnare gli spazi pubblici. Certo. Ma bisognerebbe prima prendere atto che questi sono già, in larga parte, fuori norma rispetto agli standard minimi per disabili motori e visivi. Per l’argomento scuola basterà ricordare che molti istituti trovavano e trovano ospitalità in alcuni dei più prestigiosi palazzi storici.
Un’operazione concreta, economicamente sostenibile e realizzabile in tempi ragionevoli potrebbe essere quella di trasformare la squallida pianura di guaine dei lastrici solari in tetti giardino. La piantumazione e l’inverdimento pensile è, tra l’altro, una diffusa misura di riduzione dell’impatto edilizio (R.I.E.) nei Regolamenti Edilizi di molte città come Bolzano.
Su questa scia si potrebbe pensare alla definizione di un parametro minimo di superficie scoperta da destinare a terrazze e logge in proporzione ai metri quadrati coperti per piano come nel Regolamento Edilizio di Solidere, la società di trasformazione urbana che governa il recupero del Beirut Central District. Proposte che potrebbero essere introdotte nello strumento del Regolamento Edilizio Tipo.
Tra la retorica del “nulla sarà come prima” e la retorica del “tutto sarà meglio di prima” c’è uno spazio concreto da riempire. Uno spazio pieno di cose irrealizzate, lasciate a metà, di ritardi, di rinunce, di omissioni, di negligenze. Ma anche d’idee, di volontà, di ottimismo, di volontà d’intraprendere, di ritornare ad una concezione di vita più dignitosa e rispettosa dell’uomo e dell’ambiente.
La prima cosa da fare è riempire questo spazio da troppo tempo abbandonato.
© Riccardo RosiSegretario InArch Campania