È un piacere ripercorrere, attraverso le parole di Cesare de Seta, i
fasti del seicento e del settecento con le splendide macchine da festa
di Fernando Sanfelice e di altri
. Ed anche l’architettura di quei tempi è, per molti di noi, un riferimento
che sembra quasi confortarci con la potenza e la monumentalità delle sue
costruzioni in muratura.
Non è mio interesse, e non ne avrei le competenze necessarie,
partecipare alle valutazioni sulla bellezza o sulla necessità di avere
una costruzione effimera, non caratterizzata da alcuna ambizione
artistica, sul nostro lungomare
. Posso solo osservare che quelle macchine del settecento, come le
istallazioni di piazza del Plebiscito, erano finanziate dal pubblico e
queste, invece, dagli sponsor privati. Ed in questo contesto risulta di
grande ausilio, al successo commerciale dell’iniziativa, la permanenza
mediatica perenne alimentata da questo dibattito.
Il mio piccolo contributo alla realizzazione dell’Albero e’ stato di
tipo tecnico: partecipare alla garanzia del rispetto delle condizioni
di sicurezza che ovviamente l’Amministrazione comunale aveva richiesto
per quella costruzione effimera e temporanea, viste le dimensioni che
certamente richiedevano attenzioni particolari
. Ed i temi da affrontare non sono stati pochi: la necessita’ di non
interferire in alcun modo con le opere esistenti (neanche l’asfalto), per
poter tornare alla normalita’ una volta smontata l’opera; prevedere azioni
da vento compatibili con la posizione di vicinanza al mare, con l’altezza
dell’opera e con la necessita’ di avere piccole alberature lungo tutto lo
sviluppo verticale; garantire l’accesso al pubblico ai diversi piani;
utilizzare i cavalletti impilabili messi a disposizione dalla azienda,
cavalletti utilizzati anche per le strutture di contrasto della
istallazione Tarantara di Kapoor a piazza del Plebiscito nel 2000, ed in
tante manifestazioni temporanee per concerti.
La scelta è stata di utilizzare una costruzione totalmente a secco,
senza alcuna fondazione, ma semplicemente zavorrata, ed adagiata sulla
superficie curva dell’asfalto esistente con una combinazione di diversi
elementi
: teli, impermeabili e non, sabbia, tavole di legno, tavole metalliche di
elevata portanza. Tutto cio’ con strutture a cavalletto, solitamente
utilizzate per ponteggi, dove i carichi permanenti sono praticamente nulli.
Il compito e’ stato relativamente facile, una volta fatto metabolizzare
agli sponsor che una struttura effimera e temporanea deve sottostare a
tutte le regole definite dallo Stato per la realizzazione delle opere
pubbliche.
E posso tranquillamente affermare che tali norme ci sono invidiate da
tutti.
Ho partecipato anche ad altre installazioni artistiche, dove la
ingegneria e’ stata messa a servizio di queste opere d’arte a scala
urbana, come nel caso di Tarantara, od ancora di Rebecca Horn con le
strutture illuminanti sempre a piazza del Plebiscito
, od ancora Richard Serra con le sue sculture di acciaio pieno al MANN, od
ancora l’Italia all’asta di Luciano Fabbro, anch’essa realizzata con un
girello di zavorra a secco, utilizzato dapprima per non alterare il
lastricato della piazza e poi per smontare e rimontare il tutto altrove, od
ancora, nel premio YAP 2013, con la istallazione del gruppo BAM che aveva
ideato una sorta di dirigibile ancorato al museo MAXXI.
In tutti questi casi l’ausilio delle norme sui lavori pubblici,
unitamente alle soluzioni offerte dalla ingegneria, ha consentito la
realizzazione di opere complesse
, sempre che i tecnici ingegneri siano in grado di affrontare il dialogo
con i progettisti con spirito di collaborazione ed anche di curiosita’,
sempre utile nella conoscenza.
Ed allora direi: nell’ingegneria al servizio dell’arte, effimero si’,
temporaneo si’ ma sicuro come una opera destinata a durare in eterno.