Un esame di coscienza

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Mi è stato chiesto di intervenire a proposito delle “Vele” di Scampia perché quasi venti anni fa, in un articolo pubblicato da “la Repubblica” il 5 settembre 1997, sostenevo che andavano demolite . Adesso non mi sono chiari i motivi per i quali ancora se ne vorrebbe conservare una . Un simulacro dell’errore madornale commesso? La “Vela” superstite, da riqualificare spendendo altri quindici milioni, dovrebbe contenere uffici e servizi di una Città Metropolitana.

Al di là delle responsabilità di coloro che vi sono stati direttamente coinvolti, le vicende delleVele” e di interventi non troppo dissimili a Roma, Genova, Trieste e altrove imporrebbero in generale un severo esame di coscienza, sia da parte degli esponenti più in vista della categoria dei progettisti, sia da parte dei committenti.

Come è stato possibile concepire architetture del genere e realizzarle con l’esplicito avallo autorevole di personalità niente affatto secondarie operanti nel nostro campo ? Come mai, conoscendo le condizioni degli enti che avrebbero dovuto costruirle e poi gestirle, gli sono stati affidati complessi edilizi senza uguali (o quasi) in Europa? Come spiegare che i committenti non siano stati consapevoli dei limiti delle risorse, non solo economiche, delle quali effettivamente disponevano e si siano lasciati trascinare in imprese tanto più grandi di loro?