Paolo Macry

Va pensiero
di Paolo Macry

Abruzzo, il fallimento del “campo largo”

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Ieri, in Abruzzo, ha votato poco più dell’uno per cento degli elettori italiani. Ma, ritenendo di avere nuovamente il vento nelle vele (dopo la millimetrica vittoria in Sardegna), le opposizioni ne avevano fatto un caso nazionale. Aspettavano la conferma di un’”onda” antigovernativa. Ha vinto invece il centrodestra. L’“onda” non c’è stata. Ma ora, pensando per una volta al paese e non alle forze politiche, la domanda è: c’è da rallegrarsene o da strapparsi le vesti? C’è da rallegrarsene. Per due ragioni. La prima è che un precoce declino della maggioranza di governo e addirittura (secondo l’auspicio di Conte) le elezioni anticipate comporterebbero quel che forse, in questo momento, serve di meno all’Italia: una fase di instabilità politica. Dal buco di bilancio (superbonus) al Pnrr, l’agenda dell’esecutivo è particolarmente impegnativa. E tanto più impegnativo appare oggi un contesto internazionale minacciato da criticità epocali: guerra in Europa, destabilizzazione del Medio Oriente, sfida cinese, isolazionismo americano. Nodi di fronte ai quali, se non una Union sacrée, serve un governo stabile e ben ancorato all’Occidente, come in fondo, malgrado le spinte in contrario di Salvini, ha finora garantito il centrodestra. Ma cosa succederebbe se prendesse piede una coalizione che, influenzata dal “pacifismo” dei grillini e dall’anti-atlantismo di postcomunisti e verdi, finisse per modificare la collocazione internazionale del paese, per esempio negando il sostegno militare a Kiev e il sostegno politico a Ursula von der Leyen? La seconda ragione per leggere con un certo ottimismo l’esito delle urne è che, in Abruzzo, ha ricevuto un grave colpo “il campo largo”, cioè l’ipotesi di una maggioranza organica fondata sulle due gambe del Pd e del M5s. Un modello politico che, dopo il fallimento del centrodestra berlusconiano e del centrosinistra prodiano, costituirebbe l’ennesimo esempio di coalizione disorganica e conflittuale della Seconda repubblica, perchè metterebbe assieme una formazione camaleontica e priva di cultura politica come il M5s e un partito come il Pd, ircocervo a sua volta disorganico, fragile contenitore di conservatori e riformisti, postcomunisti e cattolico-liberali. Con ogni evidenza, il “campo largo” finirebbe per acuire simili disparità, incontrerebbe forti resistenze nell’elettorato, paralizzerebbe un eventuale governo giallorosso. Ovvero, detto più chiaramente. Quanto sarebbe popolare nel paese la rinuncia alle “bandiere” dell’attuale esecutivo, autonomia differenziata, presidenzialismo, riforma della giustizia, securitarismo, grandi opere? Quanto sarebbe gradito alle classi dirigenti e alle opinioni pubbliche del Nord un progetto sbilanciato sul Welfare e sull’intervento pubblico? Quanto peserebbero, in un governo giallorosso, i tradizionali “NO” del M5s? E poi chi guiderebbe il nuovo centrosinistra? Chi sarebbe il successore di Prodi, D’Alema, Amato, Letta, Renzi, Gentiloni? Forse Elly Schlein? Forse Giuseppe Conte? Le urne abruzzesi sono una questione abruzzese. Ma, a volerne fare un caso nazionale, sembrano suggerire alle opposizioni che un’alleanza alternativa non può essere la sommatoria di “tutti gli altri”, nè può essere l’appello d’antan agli “antifascisti”. Deve nascere da contenuti politici, programmi concreti, progetti compatibili con le sfide interne e internazionali che il paese ha di fronte. La strada sarà anche lunga, però è l’unica percorribile.