Paolo Macry

Va pensiero
di Paolo Macry

Ma dove sono “i buoni”?

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“Zona d’interesse” è il film che Jonathan Glazer ha dedicato alla vita privata di Rudolf Höss, della sua famiglia, dei suoi amici. Siamo in Germania, anni Quaranta, e la pellicola indugia su quella che sembra una tipica normalità borghese, con le sue comodità, le tensioni coniugali, i giochi dei figli, le allegre tavolate. Ma Höss non è un tedesco qualunque. E’ il comandante di Auschwitz. E il suo bel villino, la piscina, il prato verde, i fiori della serra confinano con il filo spinato del mattatoio. Di sera, dalle tende candide degli Höss, è possibile vedere i bagliori che sprigionano dai camini dei forni crematori.

Si tratta di un film coraggioso, in tempi come questi, che rivolgono l’accusa di genocidio agli stessi ebrei di Israele. Ma ovvio. Perfino banale. Che i principali artefici della Shoah fossero individui di eccezionale disumanità sembra scontato. Meno ovvio sarebbe stato indagare sulla gente comune che popolò la tragedia europea. Come fa il libro drammaticamente bello dello storico Gordon Horwitz, All'ombra della morte. La vita quotidiana attorno al campo di Mauthausen (Marsilio 1994).

Mauthausen si trova nei pressi di Linz, in Austria, e la sua raccapricciante attività - spiega Horwitz - fu possibile grazie alla rete di quanti, a vario livello, dai burocrati agli inservienti, vi lavoravano giorno dopo giorno. Tutti perciò sapevano. Tutti sentivano l’odore della carne bruciata. E spesso vedevano personalmente i pestaggi, le torture, le frustate, gli sbranamenti, i mucchi di cadaveri. Ma la vita continuava. Gli impieghi nel campo erano ben pagati. Le SS facevano regali a donne e ragazzi. E la possibilità di utilizzare manodopera gratuita per qualche lavoretto domestico veniva apprezzata dalla gente del posto. Certo, assistere all’orrore poteva essere difficile. “Io sono debole di nervi”, protestò con le autorità una contadina particolarmente audace. E aggiunse: “Chiedo che si faccia in modo di porre fine a tali azioni inumane oppure che vengano compiute dove non possano essere viste”.

Si dirà che sono storie di altri tempi. Dopotutto, sono passati ottant’anni. Ma bisognerebbe essere molto cauti, ancora oggi, quando si fa affidamento sull’opinione pubblica. Anche autocrazie bellicose come la Russia, dittature crudeli come l’Iran, regimi illiberali come la Turchia si basano sul consenso attivo (o sul silenzio complice) delle loro opinioni pubbliche. E perfino una buona metà degli americani si appresta a votare un presidente che ostentatamente calpesta i principi stessi della democrazia rappresentativa. Della gente comune, forse, c’è poco da fidarsi.