Sviluppo, sicurezza, sostenibilità

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Fra gli aspetti evidenziati dai media in occasione del recente sisma ci troviamo di fronte al paradosso di un paese leader a livello internazionale per competenze e tecnologie disponibili nel settore dell’ingegneria sismica e con un’organizzazione di primo piano per capacità di gestione delle emergenze post sisma, ma contestualmente alle prese con un patrimonio edilizio estremamente vulnerabile. Il percorso che attende da tempo il Paese si snoda su due versanti: agire per la riduzione della vulnerabilità del costruito e lanciare una grande operazione di sistema che faccia leva su quelle competenze anche scientifiche di cui la nostra regione è ricca, per portarle a “reddito socio economico”. Stando alle prime dichiarazioni, “Casa Italia” va in questa direzione con la consapevolezza che non può prescindere da una forte e strutturata collaborazione fra il mondo dei saperi e quello delle imprese.

Questo punto mi sta particolarmente a cuore in quanto la realtà che rappresento, e che da tempo opera sui nostri territori, è una risorsa che può essere a disposizione del sistema regionale per dare risposte concrete a questa operazione e, le diverse azioni sperimentali condotte sul territorio possono rappresentare spunti tangibili sui temi della sostenibilità e messa in sicurezza del costruito.

Tali azioni hanno sempre avuto alla base la consapevolezza dell’inscindibilità del binomio sostenibilità e sicurezza e le tre “S” del nostro acronimo: Sviluppo Sicurezza e Sostenibilità stanno a dimostrarlo: in questi anni abbiamo lavorato per una sostenibilità che includesse al suo interno il tema della sicurezza del costruito. Questo forse oggi può sembrare scontato, io non sono di questa opinione, comunque temo di non essere smentito se affermo che c’è ancora molto da fare affinchè questo concetto diventi prassi e non semplicemente annuncio.

Sicurezza, efficienza energetica, materiali, diagnostica, manutenzione e manutenibilità, riqualificazione, riuso, salubrità e qualità della vita negli ambienti chiusi e urbani, valorizzazione del costruito storico, formazione professionale sono solo alcune declinazioni della sostenibilità e, infine, il tema che più ci sta a cuore e che ritengo più strategico: diffondere la consapevolezza dell’importanza dell’innovazione per la sostenibilità dell’ambiente costruito.

Tutti noi abbiamo in mente le immagini della scuola di Amatrice e le polemiche legate agli ultimi lavori effettuati sullo stabile e le relative diatribe sui giornali che davano al lettore la sensazione che adeguamento sismico ed efficientamento energetico fossero come in contrapposizione, parimenti il terremoto dell’Emilia ha evidenziato la fragilità di molti capannoni industriali, forse anche a causa dell’elevato carico dovuto all’installazione massiccia sulle superfici di copertura di pannelli fotovoltaici. Questo fare informazione non giova al cittadino così come non giovano discussioni tese a fare una sorta di classifica nello stabilire cosa sia più importante: geotecnica, strutture, energia, materiali. Tutto dipende da come si approccia il problema, da come lo si metabolizza e lo si affronta. Se ragioniamo a livello pianeta le costruzioni rappresentano circa il 35% del consumo energetico mondiale e la filiera è responsabile di circa il 40% dei gas serra immessi in atmosfera con i disastri che tutti conosciamo, anche in termini di vite umane perse attuali e future ( siccità, desertificazione, fenomeni atmosferici estremi, dissesti e frane..). La risposta a questo scenario caratterizzato da complessità e interconnessione richiede l’integrazione di molte competenze sapendo anche che sulle costruzioni, al pari di temi come mobilità e food, ci giochiamo il futuro del pianeta e dei nostri territori. Il nostro pianeta necessità di un grande intervento di manutenzione straordinaria che, per il nostro paese, significa anche prevenzione sismica ma non solo: i recenti disastri hanno dimostrato quanto possa essere deleterio un approccio differenziale e non integrato alla risoluzione dei problemi di “messa in qualità” del nostro costruito .

A proposito di integrazione di competenze per affrontare la complessità oggi è opinione diffusa fra gli addetti ai lavori che il BIM sia lo strumento che ci permetterà di affrontare al meglio le sfide che il settore c’impone, quasi come fosse un oggetto dalle virtù taumaturgiche. Questo è sicuramente vero ma il ricorso al BIM probabilmente è condizione necessaria ma non sufficiente. Così come non fu sufficiente introdurre il concetto di sostenibilità nel 1987 (rapporto Brundtland, ONU Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo), e si è dovuti attendere le risultanze della conferenza mondiale COP21 di Parigi per avere politiche attuative condivise.

Il settore in cui operiamo va rifondato e industrializzato e il futuro delle costruzioni sarà declinato tramite temi quali: rigenerazione urbana, recupero, edilizia sociale e di qualità, impianti, materiali e servizi, il tutto permeato dai processi di digitalizzazione ormai ineludibili. Il CRESME parla di nuovo “ciclo dell’ambiente costruito” volendo dare un marcato segno di discontinuità anche semantica per indicare l’evoluzione del settore.

Il BIM è lo strumento per attuare ciò e potrebbe aiutare a fare quel salto culturale ineludibile se non si vuole continuare nel declino del paese. Può sembrare una rivoluzione, e in realtà lo è per il nostro settore ma non per i settori industriali tecnologicamente avanzati, aerospazio, difesa, chimica, elettronica che da tempo operano con strumenti che sfruttano lo stato dell’arte delle tecnologie ICT disponibili, hardware e software, pena l’esclusione dal mercato. Dobbiamo avere questa consapevolezza per affrontare con molta umiltà, unita a grande determinazione, la sfida che ci attende sapendo che il nostro settore sarà stravolto da questi processi connessi alla digitalizzazione.

Questo percorso va affrontato consapevoli del fatto che si andranno a definire nuovi profili professionali, che andranno certificati e per i quali servirà aggiornare i percorsi formativi, a partire dalla scuola finendo ai corsi di specializzazione, facendo ben attenzione a non focalizzare il tutto solo su un mero aggiornamento sugli strumenti informativi, ma sulla formazione di figure (bim specialist e manager), con una nuova cultura gestionale-organizzativa delle commesse e della gestione del patrimonio esistente. Questo potrà far si, ad esempio, che sul fronte della Pubblica Amministrazione potranno essere attivati quei percorsi virtuosi che condurranno ad una corretta gestione delle informazioni, a partire dalla correttezza dei capitolati informativi per arrivare alla verifica dei modelli ricevuti durante un procedimento, compresi quelli orientati al miglioramento o adeguamento sismico degli edifici.

Dunque quello che è necessario è una grande operazione culturale che deve partire dai luoghi della formazione, scuole ed università attraversando il sistema paese – istituzioni, associazioni, imprese, professionisti ecc. per arrivare fino al cittadino. Noi nel nostro microcosmo, di conduzione di progetti definiti di “ricerca industriale” in risposta a bandi regionali, nazionali ed europei, abbiamo sempre cercato di forzare le azioni progettuali verso applicazioni concrete – dimostratori tecnologici – seppur a scala ridotta o su porzioni di edificato, per mostrare che si può realmente far meglio e che sono disponibili tecnologie e competenze per farlo. Tra i diversi aspetti positivi mi preme in particolare sottolineare che queste azioni dimostrative hanno fatto emergere che spesso, il ricorso all’ innovazione, può rendere più agevole il lavoro delle imprese e delle maestranze che lavorano alla realizzazione/riqualificazione del manufatto, ivi compreso quello di pregio storico architettonico. Da questo segnale dobbiamo ripartire e rilanciare dai nostri territori del Mezzogiorno politiche e iniziative alte sul tema della protezione e valorizzazione dell’ambiente costruito.