Mastella: Manutenzione, serve grande piano nazionale. E denuncia: A Benevento nessun ufficio a norma

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Ostaggi di un Morandi minore. Più o meno dieci volte più piccolo di quello collassato a Genova in un tragico Ferragosto, il ponte San Nicola a Benevento, progettato negli anni Cinquanta dall'ingegnere romano e lungo appena 121 metri a fronte dei 1.182 di quello crollato, è chiuso da tre mesi esatti. Era il 17 agosto quando il sindaco Clemente Mastella decise di sbarrarlo con un'ordinanza che complicava i collegamenti tra il quartiere Capodimonte e il centro della città.

Sindaco, ai cittadini che protestarono lei rispose: «Meglio i disagi che le disgrazie».

«Certo: di fronte alla sicurezza, le polemiche sono incomprensibili. Ormai si sentono tutti ingegneri, sono tutti pronti a criticare, dai cittadini ai commercianti. Ma se la commissione mi dice che era giusto chiudere, io sono tranquillo».

Eppure quel ponte era stato riaperto al traffico il 6 dicembre del 2016, tra benedizioni e brindisi, dopo alcuni interventi seguiti ai danneggiamenti causati dall'alluvione del 2015. Perché chiuderlo nuovamente?

«La chiusura è stato un atto di coscienza derivato dalle indicazioni dei tecnici del Comune. Dopo il crollo di Genova, chiesi di verificare lo stato del ponte San Nicola e mi dissero che in via precauzionale era giusto chiuderlo. Del resto, i lavori eseguiti dopo l'alluvione nel 2016 sono stati prevalentemente estetici. Così ho formato subito la commissione tecnica per le opportune verifiche, anche se con difficoltà. Facciamo fatica a reperire i fondi, quello di Benevento è un Comune dissestato: non da me, ma da chi c'era prima di me. Per fortuna in commissione abbiamo persone capaci e disponibili, tra i quali il presidente dell'Ordine degli ingegneri di Napoli, Edoardo Cosenza, che con altri tecnici molto bravi hanno accettato di ridurre i loro compensi. Entro una quindicina di giorni dovrebbero fornirci una risposta».

Ci sono già delle prime indicazioni sulle criticità?

«Sì, il problema maggiore risiede nella parte bassa delle fondamenta, che affondano nel letto di un torrente e dunque sono soggette ad ossidazione per la presenza costante dell'acqua. In caso di alluvione, il fiumiciattolo potrebbe ingrossarsi e quella parte ossidata potrebbe cedere: è soprattutto lì che bisogna concentrare gli interventi. Dopo la vicenda di Genova, si è capito che il cemento precompresso ha una durata limitata nel tempo. E il nostro "Morandi" è stato costruito dieci anni prima del ponte di Genova».

Quando pensate di riaprirlo?

«Prima di Natale dovremmo procedere ad una riapertura parziale, evitando i carichi pesanti e magari con un senso di marcia alternato».

È vero che di quel ponte manca il progetto iniziale?

«Sì, nell'archivio Anas non è stato trovato. Abbiamo solo una piantina parziale che ci è stata fornita da un generoso geometra. Questo ha reso ancora più difficile il compito dei tecnici».

Il suo Comune, come molti altri, è in dissesto finanziario. Quanto dovrebbero costare gli interventi e chi pagherà?

«Si spenderanno 150mila euro per il primo approccio: la commissione tecnica, i rilievi, le analisi dei materiali, che tra l'altro sono complicate dal fatto che i laboratori, dopo il crollo di Genova, sono oberati di richieste. I lavori? Con meno di un milione non facciamo nulla. Per il momento, i soldi per la commissione li abbiamo dovuti prendere da un altro capitolo. E poi c'è il tema delle responsabilità: nessuno vuole assumersele, ed è anche comprensibile. Se sei un sindaco, spesso hai responsabilità ma non hai risorse per eseguire i lavori necessari. Poi arriva un magistrato e ti condanna senza sentire ragioni».

La manutenzione e la prevenzione in Italia sono temi del giorno dopo. Come si fa a reperire le risorse per invertire questa tendenza?

«Ai politici e agli amministratori piace inaugurare, non manutenere. Fa meno notizia, è chiaro. Invece occorrerebbe un grande piano emergenziale. Soprattutto al Sud, dove ci sono difficoltà socio-economiche e disoccupazione, un grande piano keynesiano di interventi garantirebbe da una parte la messa in sicurezza e dall'altra il lavoro. E questo non vale solo per le strade e per i ponti: anche molti edifici pubblici e privati sono messi male. Pensi che a Benevento, dal Comune al Tribunale, nessun ufficio pubblico è a norma. Per non parlare delle scuole. Uno si augura che vada sempre tutto bene, ci affidiamo al Padreterno. Ma se accade qualcosa con chi ce la prendiamo? Io mi augurerei che si producesse un grande sforzo di manutenzione, anche abbattendo e ricostruendo con materiali più moderni, come fanno in Usa e in Giappone. Intanto, sarebbe già qualcosa se leRegioni si limitassero a programmare, stanziando un finanziamento senza vincolarlo. Sta agli amministratori locali, che conoscono esigenze e priorità, decidere se usare quei fondi per le strade o per il ponte».